Cari Colleghi Counselor.
I continui attacchi che stiamo subendo, da parte di rappresentanze varie dell’ “ordine degli psicologi”, non possono essere, per noi counselor, che la punta emergente di un gigantesco iceberg di buone motivazioni ad agire in chiave di rafforzamento della nostra identità professionale.
Ancora una volta, il ragionare sull’affermazione identitaria del Counseling e dei professionisti, Counselor, che l’esercitano non può che partire dal precisare cos’è il Counseling.
Proprio la definizione di Counseling proposta da Assocounseling, relativamente all’iscrizione al registro ministeriale delle associazioni professionali non regolamentate ex l. n. 4/2013, è stata la “rampa di lancio” da cui il Tar del Lazio è partito per emettere una sentenza che, pur non condannandoci ad alcunché, certo non ci favorisce.
La definizione di Counseling proposta da Assocounseling è stata vista, in sostanza, come troppo generica per definire qualcosa di specifico, che esulasse dalla competenza dello psicologo.
Non contento di ciò, il TAR del Lazio, a sostegno della propria sentenza, ha utilizzato, inoltre e purtroppo a sproposito, il parere che il Ministero della Salute, su istanza di altre associazioni di counselor, ha emesso relativamente al Counseling, riconoscendolo come un’attività di aiuto a favore, anche, di chi si ritrovi a vivere una qualche forma di “disagio psichico” lieve.
Ora, quando in giurisprudenza, viene accolta l’istanza degli psicologi di vedere il “disagio psichico” (di qualunque entità) come un malessere di ordine sanitario, una questione di salute pubblica “curabile” solo da chi è iscritto all’ordine degli psicologi, per noi counselor (e non solo!), la frittata è fatta!
A noi counselor, allora, non resta che procedere in due direzioni:
- accettare la riduzione del “disagio psichico” nei minimi termini di questione sanitaria, lasciarlo tutto in mano agli psicologi e noi occuparci d’altro!
- convincere giuristi e legislatore che, contrariamente a quello che vogliono certi psicologi, il “disagio psichico” è un “affare” che possiamo trattare anche noi, perché riguarda la vita ordinaria di tutti e il più delle volte non è inscrivibile in un quadro clinico-sanitario, alias di malattia mentale (una qualunque forma di stress derivato da una qualsiasi problematica esistenziale vissuta in campo lavorativo, relazionale ed affettivo, produce forme di “disagio psichico”, non inquadrabili come malattia, che a nessuno può essere precluso di gestire liberamente, facendosi aiutare da chi vuole, da un amico come da un parente, da una guida spirituale come da una buona lettura, da un counselor come da un’iscrizione in palestra, ecc. ecc.).
Di queste due direzioni, preferisco la prima: lasciamo il disagio psichico alle amorevoli cure degli psicologi e, noi Counselor, occupiamoci d’altro. Di cosa!? Ma di Consapevolezza ed Intelligenza Emotiva!!!!
La storia dell’umanità ci ha insegnato l’identità semantico-esistenziale di psiche ed emozione, e anche se una parte degli psicologi italiani, con ardito piglio rivoluzionario, si ostinerà a voler spaccare l’esistenza umana, accaparrandosi la gestione di quella psichica, noi sappiamo che ancorandoci alla specificità del Counseling, che è quella di lavorare sui registri della consapevolezza e dell’intelligenza emotiva, conseguiremo almeno due importantissimi obiettivi:
- come Counselor, riusciremo a meglio definire, accreditare e farci riconoscere il nostro fare Counseling;
- come Counselor, continueremo ad aiutare anche chi si rivolgerà a noi perché bisognoso di un aiuto efficace relativamente ai propri disagi psichici.
Certo, qua si tratta di essere, tutti noi Counselor, d’accordo sul fatto che la specificità del Counseling risieda nel saper far agire il registro emotivo dell’esistenza in funzione dell’individuazione, e della relativa attivazione da parte dei nostri clienti, di quegli atteggiamenti mentali e comportamentali capaci di produrre un miglioramento nella gestione delle situazioni problematiche rispetto alle quali ci stanno chiedendo aiuto.
Procediamo con ordine e cominciamo con il ragionare su una, possibile, definizione di Counseling:
<<Il Counseling è una relazione d’aiuto alla quale può rivolgersi chiunque si ritrovi alle prese con una qualsiasi difficoltà di carattere esistenziale legata ad una qualsiasi fattispecie della propria vita quotidiana.
Che siano vissute nel mondo del lavoro come in quello degli studi, nelle relazioni familiari come in quelle amicali, in ogni situazione di cambiamento esistenziale ed in ogni vissuto personale di malessere emotivo, le nostre difficoltà saranno meglio affrontate con l’aiuto di un bravo Counselor.
Il Counseling è un processo relazionale, d’aiuto personale, fondato sul “Contatto Empatico”.
Per contatto empatico possiamo intendere quello che accade in una relazione interpersonale ogni qualvolta chi gestisce responsabilmente quella relazione riesce a rendersi conto del proprio stato emotivo e, a partire da questo, riesce a rendersi contestualmente conto di ciò che sta provando l’altro, agendo conseguentemente, nella relazione, con modalità in grado di valorizzarne gli stati emotivi.
Il Counseling si posiziona sul registro emotivo dell’esistenza, e lo usa, in vista dell’individuazione, e della relativa attivazione di quegli atteggiamenti mentali e comportamentali capaci di produrre un miglioramento nella gestione delle situazioni problematiche in essere.
In altre parole, il Counseling è un intervento di miglioramento della Consapevolezza Emotiva, che rende possibile una gestione “Intelligente” degli stati emotivi che ostacolano il cambiamento-miglioramento delle situazioni esistenziali problematiche in essere.
Per questa ragione possiamo qualificare il Counseling come un’attività che agisce sui registri della Consapevolezza e dell’Intelligenza emotiva.
Chi si rivolge al Counseling chiede d’essere aiutato a meglio affrontare una specifica propria difficoltà, rispetto alla quale non riesce ad agire efficacemente perché in preda a dinamiche emotive che non sa riconoscere e gestire positivamente.
Il Counseling, come servizio professionale, consiste quindi:
- nell’aiutare il cliente a riconoscere tali, proprie, dinamiche emotive ed i collegati, propri, atteggiamenti mentali-comportamentali,
- nell’aiutare il cliente a riconoscere le relazioni tra le proprie dinamiche emotive ed i propri atteggiamenti mentali-comportamentali,
- nell’aiutare il cliente ad individuare i propri possibili cambiamenti, principalmente di atteggiamento mentale-comportamentale, in grado di migliorare le proprie condizioni emotive e di attivare, così, un circolo finalmente virtuoso di emozioni, pensieri e comportamenti, in grado di permettergli di meglio affrontare le proprie difficoltà esistenziali e di muoversi verso un’esistenza migliore.
Il Counseling è un processo relazionale fondato sul “Contatto Empatico” perché è attraverso il “Contatto Empatico” che il Counselor riconosce gli stati emotivi del cliente; è sempre attraverso questo tipo di contatto che riesce a farglieli riconoscere, facendogli riconoscere, anche, le relative correlazioni di atteggiamenti mentali e comportamentali.
Quindi, le competenze professionali necessarie per fare Counseling sono:
- la capacità di contattare empaticamente gli altri;
- la capacità di riconoscere gli stati e le dinamiche emotive proprie e degli altri;
- la capacità di riconoscere le correlazioni di emozioni-pensieri-comportamenti, propri e degli altri;
- una capacità di comunicazione efficace, in grado di garantire la buona gestione di condivisione relazionale dei precedenti tre punti>>.
Ragionando sul “cos’è il Counseling” siamo arrivati a vedere quali competenze servono per farlo; questo ci può aiutare a risolvere annose diatribe su questioni quali:
- Chi può fare Counseling?
- Quali percorsi formativi ne formano le competenze?
Alla prima domanda vorrei poter, lapidariamente, rispondere:
“può fare Counseling chiunque possieda le quattro capacità qui sopra elencate”.
Ma, poiché si tratta di “capacità” costruite intorno alla valorizzazione di doti umane (di sensibilità, di intuizione, di creatività, di osservazione non giudicante, di accoglienza, di ascolto, di comunicazione, ecc.) non classificabili secondo criteri fissi ed oggettivi e, quindi, non certificabili insindacabilmente, dobbiamo cercare in altre direzioni risposte comunemente accettabili.
Una via “maestra” è sicuramente quella di rivolgersi ai processi educativi in grado di formare le competenze di Counseling e, quindi, alla domanda “Chi può fare Counseling”, così rispondere:
“può fare Counseling chi può dimostrare di aver seguito un percorso formativo in grado di sostenere lo sviluppo e l’acquisizione strutturale delle competenze professionali (sempre le quattro capacità sopra elencate) che ne rendono possibile l’esercizio”.
Insomma, è il percorso formativo seguito a qualificare chi può fare Counseling.
Quindi, dobbiamo ragionare su: “come si formano le competenze necessarie per fare Counseling?”
In Italia, le scuole di formazione IN Counseling, che seguono, attraverso organismi nazionali, le indicazioni delle più importanti associazioni di counseling internazionale, organizzano percorsi di formazione in counseling articolati su di una didattica che, seppur in buona parte applicata esperienzialmente, privilegia la dimensione teorica, basandosi su materie, lezioni e proposte di studio di tipo tradizionale-parauniversitario.
Questo è, secondo me, un forte elemento di debolezza per una buona politica di affermazione identitaria del Counseling in Italia.
Il Counseling è un insieme di competenze assolutamente pratiche, che si apprendono attraverso esperienze formative assolutamente pratiche, che consistono in un percorso di esercitazioni assolutamente pratiche, che assumono una valenza assolutamente formativa perché integrate da un approfondito lavoro personale di conoscenza di sè.
Insomma, gli elementi che caratterizzano una buona formazione IN Counseling, sono:
- l’essere una formazione di tipo esperienziale (l’allievo counselor si forma attraverso attività sperimentali riguardanti tutto ciò che metterà in atto quando sarà un Counselor Professionista);
- il lavoro personale di conoscenza di se stesso
I saperi di carattere teorico utili al fare Counseling, che le scuole di Counseling gestiscono, qualificano le competenze di Counseling solo se sono proposti come riflesso di ciò che l’allievo sta sperimentando, praticamente, nel corso della propria formazione IN Counseling.
Quindi, non è lo studio di una qualsivoglia teoria a qualificare la formazione IN Counseling.
Ciò che qualifica una formazione IN Counseling è il “COME SI E’ APPRESO COSA”
Se noi Counselor ci facessimo riconoscere il fatto che ciò che caratterizza la nostra formazione non è quello che abbiamo studiato, ma come l’abbiamo studiato e per quanto tempo, nessuna persona dotata di buon senso potrebbe pensare, ad esempio, che un laureato in Psicologia, seppur con qualche mese di tirocinio, possa mettersi a fare Counseling o ne abbia in qualche modo titolo!!!
Le quattro capacità, sopra presentate come architettura della competenza professionale IN Counseling, sono potenzialità umane che noi Counselor impariamo ad usare positivamente attraverso un approfondito lavoro di autoconoscenza, attraverso ore ed ore di esercitazioni guidate di ascolto, di contatto intra ed inter-personale, di meditazione, di alfabetizzazione emotiva, attraverso la sperimentazione di svariate forme di drammatizzazione e di espressione artistica e corporea e… chi più ne ha più ne metta.
È quindi su questo che dobbiamo suonare la grancassa della nostra specificità.
Il fatto che per fare Counseling necessitino elementi di conoscenza, particolare e/o generale (di tipo psicologico-filosofico, storico-sociale, antropologico-culturale), relativi alla condizione umana è una circostanza che non può essere messa al centro della specificità della formazione IN Counseling.
Quella della formazione teorica, in un percorso di formazione IN Counseling, è una variabile che dipende dalla soggettività dell’allievo, che per iscriversi ad una scuola di Counseling deve avere requisiti culturali di base e capacità di studio e approfondimento teorico, autonomo, seppur guidato, in grado di permettergli di gestire i necessari collegamenti tra quanto sta sperimentando praticamente nella propria formazione IN Counseling e gli elementi teorico-culturali di sostegno e integrazione della stessa.
Quindi, invece di infarcire i programmi di formazione IN Counseling di ore di studio di materie quali: Psicologia Generale-Sociale-delloSviluppo-Dinamica-deiGruppi, Sociologia, Antropologia, Filosofia, Comunicazione, ecc… chi si occupa di formazione IN Counseling dovrebbe proporre piani di studio articolati su “materie” quali:
– Alfabetizzazione emotiva
– Esercitazioni pratiche di consapevolezza emotiva
– Esercitazioni pratiche di ascolto
– Esercitazioni pratiche di contatto
– Esercitazioni pratiche di Osservazione Non Giudicante
– Esercitazioni pratiche di ascolto empatico
– Esercitazioni pratiche di contatto empatico
– Esplorazione delle dinamiche emotive umane attraverso lo studio e l’analisi di produzioni artistiche e letterarie ad hoc
– Esercitazioni di Meditazione
– Esercitazioni pratiche di Comunicazione Interpersonale di Counseling (es: la tecnica delle domande, la formulazione dei feedback, ecc.)
– Esercitazioni di espressione artistica per la sperimentazione emozionale
– Esercitazioni di espressione corporea per la sperimentazione emozionale
– Esercitazioni di drammatizzazione dei propri stati emotivi e dei propri atteggiamenti mentali e comportamentali
– Esercitazioni motorie di consapevolezza corporea
– Applicazioni pratiche di Counseling
– Supervisione didattica di Counseling
– Percorso personale
Specificando chiaramente che gli elementi di conoscenza teorica, riguardanti principalmente le Scienze Umane, necessari per una buona riuscita di tale formazione IN Counseling, vengono curati dai Trainer Counselor, in collegamento con le attività didattiche esperenziali, fornendo spiegazioni ad hoc e gli opportuni collegamenti bibliografici utili all’approfondimento, che sarà a cura dell’allievo.
Alla direzione scolastica la responsabilità, ovviamente, di verificare il possesso delle conoscenze teoriche dei propri allievi, necessarie per fare Counseling.
In questo modo renderemmo chiara la nostra differenza, la nostra identità!!!
In questo modo seguiremmo più coerentemente le ispirazioni dei nostri padri fondatori, che hanno parlato di “Arte del Counseling” (Rollo May) e di specifiche qualità umane come condizione indispensabile per poter fare non solo Psicoterapia, anche Counseling.
Vediamo, a conferma di quanto argomentato, cosa ci dice Luigi De Marchi (1937-2010, psicologo clinico e sociale, politologo e autore di numerosi saggi pubblicati in Europa e in America), nel suo raccontarci di un proprio dialogo con Carl Rogers
“Vedi Luigi – egli mi disse – per parte mia io ho ammesso ai miei corsi di formazione e ho diplomato in psicoterapia centinaia e centinaia di persone che non avevano nessuna laurea, nessuna specializzazione e nessun altro titolo di studio universitario, ma avevano la qualità umana, la sensibilità, l’autenticità, la semplicità, il senso dei propri limiti, la capacità di comunicazione e attenzione empatica che sono la vera e unica base d’una psicoterapia e di un counseling efficaci”.
Visto che un’identica ispirazione la ritroviamo nello stesso Freud, che era solito ripetere che: “per fare psicoanalisi basta essere colti e aver fatto un’analisi personale”, perché noi Counselor non possiamo riprendere tali illustri insegnamenti, riproponendo che per fare Counseling basta essere colti e aver fatto una specifica, esperienziale, formazione IN Counseling, integrata da un percorso di lavoro personale di conoscenza di sé!!!???
Se esiste, una risposta a quest’ultima domanda, purtroppo, la ritroviamo in queste parole di Luigi De Marchi (stessa fonte sopra citata):
“Dietro a questo deprimente contrasto tra la realtà storica e professionale del counseling e la sua arzigogolata e oscura definizione italiana sta la nostra assurda e corporativa legislazione in materia di psicoterapia che, in contrasto con quanto accade negli Stati Uniti e nella maggior parte dei paesi dell’Occidente avanzato, ha preteso di escludere dalla psicoterapia chiunque non sia laureato in medicina o in psicologia.
E’ una legislazione che, come tutti sappiamo, ha voluto statalizzare una formazione professionale, quella dello psicoterapeuta, nata e cresciuta negli studi dei liberi professionisti (quali furono, salvo rare eccezioni, tutti i grandi maestri della psicoterapia) e nell’ambito di scuole private e libere e che, per soddisfare gli appetiti di baronie accademiche tanto avide quanto incompetenti, ha validato solo i diplomi delle scuole di formazione approvate dalle baronie stesse, facendo quintuplicare i costi della formazione e consegnando l’Ordine degli Psicologi e degli Psicoterapisti, composto per 4/5 di liberi professionisti, ad esponenti della burocrazia sanitaria ed accademica.
Questa legislazione, come pure è noto, è da tempo severamente criticata in sede europea.
Nel Congresso Europeo di Psicoterapia svoltosi nel 1998 a Parigi, i rappresentanti della professione psicoterapeutica di 36 paesi europei hanno denunciato la nostra legislazione statalista definendola una violazione del diritto umano alla scelta del metodo terapeutico e, con una marcia solenne alla Piazza del Trocadero, hanno ribadito la Dichiarazione di Strasburgo che
definisce la psicoterapia “una professione libera e indipendente” da non riservare solo a medici e psicologi. Ma, al di là dei problemi di libertà personale e di indipendenza professionale così grossolanamente violati dall’attuale legge italiana in questo campo, c’è un problema basilare di contenuti e di efficacia che l’odierna legislazione italiana in materia psicoterapeutica, e gli orientamenti ad essa ispirati in tema di counseling, sembrano ignorare totalmente, con grave danno dell’utenza. Ed è il problema della qualità umana del professionista che svolge queste delicatissime attività.
La nostra legislazione, conforme ai criteri nozionistici e burocratici che ispirano tutto il nostro insegnamento universitario e che ci hanno assicurato il poco invidiabile primato europeo della fuga degli studenti dagli atenei e dei cervelli dai centri di ricerca, concede l’abilitazione a queste attività a chi abbia concluso un corso privo di qualsiasi contenuto umanistico e superato un’enorme quantità di esami teorici, spesso inutili ai fini professionali, senza alcun riguardo per la preparazione esperienziale e pratica e per le qualità attitudinali del candidato.
Purtroppo, i criteri che si sono affermati in varie Scuole italiane di counseling ricalcano le concezioni nozionistiche accademiche in fatto di consulenza psicologica in ogni campo: da quello clinico a quello aziendale a quello sportivo o scolastico. Ma tutto ciò costituisce una flagrante negazione dei criteri che dovrebbero ispirare la formazione in queste attività”.
Accidenti, non vorrei sembrare superbo, però la penso anch’io così.
Anch’io penso che, in Italia, stiamo correndo il rischio di far accadere per il Counseling quello che è già accaduto per la Psicoterapia.
Chi ha a cuore le sorti del Counseling e della professione di Counselor non può che sostenere ogni azione possibile di contrasto di una simile deriva.
In questa direzione si muove la mia proposta di assegnare al Counseling una specifica identità formativa, così riassumibile:
- Chi non fa tutto il lavoro di formazione esperienziale e di conoscenza di sé che facciamo noi Counselor ( un percorso triennale di formazione esperienziale di 450 ore + 150 ore di tirocinio + 50 ore di percorso personale-individuale) NON PUO’ FARE COUNSELING.
- LA FORMAZIONE NON è TEORICA è PRATICA
- Gli elementi di teoria vengono dedotti dalle attività sperimentali, sotto la guida e le contingenti spiegazioni dei trainer counselor che le conducono; agli allievi Counselor viene fornita dalla scuola una bibliografia ad hoc, per gli opportuni approfondimenti teorici necessari, che gli allievi stessi avranno cura di effettuare e che la scuola verificherà
- Alla scuola di Counseling si iscrive solo chi ha una buona cultura di base, buone capacità di lettura e studio di testi, anche complessi, disponibilità personale ad affrontare un percorso formativo esperienziale, fondato sull’attivazione personale e sulla messa in gioco di sé stessi.
Sul piano della “Comunicazione & Marketing” della nostra professione, richiamare l’attenzione sugli obiettivi formativi delle nostre scuole e sulle relative nostre particolari “materie di studio”, vorrebbe dire compiere un’operazione di grande differenziazione da altri percorsi formativi, rendendo più chiaro a tutti le specifiche ragioni del seguire la nostra formazione piuttosto di altre e, di conseguenza, rendendo assolutamente più chiaro il perché rivolgersi ad un counselor piuttosto che ad altri professionisti.
Cari Colleghi Counselor, vorrei avviarmi al concludere questo mio scritto riformulandolo nei termini di bozza narrativa di una, possibile, comunicazione pubblicitaria di una nostra Scuola IN Counseling.
Vi prego di leggerla con attenzione, di ascoltarla, per assaporarne gli effetti:
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Il Counseling è una relazione d’aiuto fondata sul contatto empatico.
Vuoi diventare Counselor ed esercitare, professionalmente, il Counseling?
Attraverso il contatto empatico il counselor aiuta i propri clienti a riconoscere quei loro stati emotivi, quei loro pensieri, quei loro comportamenti, e le relazioni fra questi, che caratterizzano la loro incapacità di migliorare-cambiare il quadro di difficoltà esistenziali, che loro stessi stanno vivendo.
Così facendo, il Counselor aiuta i propri clienti ad attivare quei processi di cambiamento, nei loro pensieri, nei loro comportamenti, nei loro sentimenti , che miglioreranno il quadro di difficoltà che stanno vivendo, fino, se possibile, ad una relativa piena soluzione.
La formazione IN Counseling è un percorso esperienziale, variamente collegato ad un retroterra culturale di stampo umanistico, che si differenzia da ogni tipo di formazione scolastico-tradizionale, compresa, soprattutto, quella universitaria, con particolare riferimento ai corsi di laurea in psicologia, che, semmai, possono essere una tra le tanti possibili, facoltative, esperienze propedeutiche alla formazione IN Counseling.
Il “Piano di Studi” della formazione IN Counseling prevede un percorso triennale di 450 ore (150/anno) di lavori di gruppo, più un percorso personale/individuale di 50 ore, più un tirocinio professionale di 150 ore, ed è gestito attraverso una didattica organizzata attraverso la sperimentazione pratica delle seguenti “materie di studio”:
– Alfabetizzazione emotiva
– Esercitazioni pratiche di consapevolezza emotiva
– Esercitazioni pratiche di ascolto
– Esercitazioni pratiche di contatto
– Esercitazioni pratiche di Osservazione Non Giudicante
– Esercitazioni pratiche di ascolto empatico
– Esercitazioni pratiche di contatto empatico
– Esplorazione delle dinamiche emotive umane attraverso lo studio e l’analisi di produzioni artistiche e letterarie ad hoc
– Esercitazioni di Meditazione
– Esercitazioni pratiche di Comunicazione Interpersonale di Counseling (es: la tecnica delle domande, la formulazione dei feedback, ecc.)
– Esercitazioni di espressione artistica per la sperimentazione emozionale
– Esercitazioni di espressione corporea per la sperimentazione emozionale
– Esercitazioni di drammatizzazione dei propri stati emotivi e dei propri atteggiamenti mentali e comportamentali
– Esercitazioni motorie di consapevolezza corporea
– Applicazioni pratiche di Counseling
– Supervisione didattica di Counseling
– Percorso personale
Gli elementi di conoscenza teorica, riguardanti principalmente la Psicologia e le Scienze Umane, necessari per una buona riuscita di tale formazione IN Counseling, vengono curati dai Trainer Counselor, in collegamento con le attività didattiche esperenziali, fornendo contingenti spiegazioni ad hoc e gli opportuni collegamenti bibliografici funzionali ad ogni necessario approfondimento teorico-culturale, che sarà a cura dell’allievo.
La direzione scolastica si farà carico di verificare il possesso delle conoscenze teoriche dei propri allievi, necessarie per fare Counseling.
La formazione IN Counseling mira a formare, prima ancora che professionisti di successo, delle persone esperte in gestione delle relazioni umane, dotate di superiore consapevolezza ed intelligenza emotiva; persone con spiccata sensibilità umana ed esperienza di vita, capaci di particolare intuito e lungimirante saggezza.
Per Informazioni più dettagliate e colloquio personale, contattaci.
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SPERANDO DI NON URTARE E OFFENDERE ALCUNA SENSIBILITA’ E SPERANDO, INOLTRE, CHE SE QUESTO DOVESSE ACCADERE, MI SARA’ CONCESSA L’ATTENUANTE DELLA PASSIONE, DELLA BUONA VOLONTA’ E DELLE BUONE INTENZIONI, VOGLIO CONCLUDERE QUESTO MIO ARTICOLO, USANDO TONI FORTI E CHIARI, QUINDI, COSI’ RIASSUMO:
Quanto piu’ noi counselor
- sapremo stare sulla specificita’ e diversita’ della nostra formazione,
- a questa sapremo dar valore,
- su questa sapremo far convergere l’attenzione, nostra e di chi ci guarda,
tanto piu’ noi counselor
- onoreremo la “causa” del counseling,
- ci difenderemo da aggressioni corporative e da baronie universitarie, o paratali varie,
- riusciremo, finalmente, ad affermarci.
Le competenze alla base del Counseling sono di carattere pratico e si acquisiscono SOLO con un percorso formativo, esperienziale, ad hoc.
È la specificità di questo percorso formativo che qualifica il counseling E si differenzia da ogni tipo di formazione scolastico-tradizionale.
Su tale specificità noi counselor non abbiamo insistito abbastanza.
Su tale specificità, invece, dobbiamo insistere sempre più, lavorando alla valorizzazione delle nostre particolari, PERCHE’ NON CONVENZIONALI, modalità didattico-formative, che dobbiamo assolutamente mettere al centro di ogni nostra autorappresentazione.
Diventerà, allora, sempre più importante il riuscire a sganciarci dalla tirannia, o anche solo dall’invadenza, di ogni forma d’ingerenza epistemologica nei percorsi di formazione IN Counseling.
La formazione IN Counseling è di natura fenomenologica e noi dobbiamo rispettare questa natura.
Invece di sprecare tempo ed energie alla ricerca di quali scienze umane inserire come materia di studio teorico nella formazione IN Counseling, faremmo molto meglio a lavorare alla scoperta di ogni modo possibile capace di sostenere lo sviluppo di quelle qualità umane necessarie a fare Counseling.
Il nostro operare è di tipo artistico-poetico, non scientifico-prosaico (come ci ricorda il titolo, “L’arte del counseling”, forse il primo libro pubblicato sul counseling, da uno dei suoi padri fondatori: Rollo May).
Nel nostro mondo di Counselor, nelle nostre associazioni di categoria, abbiamo bisogno di cuore, di intelligenza emotiva e di sensibilità artistica, molto più che di robotizzazione, di intelligenza artificiale, di conoscenze e procedure scientifiche.
Ogni nostra politica e strategia di affermazione pubblica e professionale su questo dovrà essere fondata, diversamente, molto presto saremo come quegli psicologi che ci fanno la guerra e non riescono a vedere altra possibilità di esistere se non attraverso l’esclusione-soppressione di tutto-tutti ciò che è diverso da loro.
Nelle nostre esperienze associative, per sostenere le nostre legittime istanze di progresso e sviluppo, più che istituire tradizionali organismi, quali, ad esempio, il Comitato Scientifico (con cui rischiamo di riproporre ispirazioni e comportamenti identici a quelli di chi ci fa la guerra!!!), credo che sarebbe molto meglio:
- istituire momenti fissi di confronto e collaborazione sui temi della formazione IN Counseling, vista come gestione organizzata, sul piano simbolico-rappresentativo, di esperienze pratiche in grado di far sperimentare le più svariate situazioni possibili di Counseling,
- investire in ruoli e funzioni relative alla Comunicazione e al Marketing della nostra professione.
Spero di non essermi fatto troppi nemici, tra Tutt* Voi colleghe e colleghi counselor, così come spero che chi dovesse condividere queste mie argomentazioni (e io so che siete tanti) prenda spunto da questo mio scritto, lo condivida e ne rilanci in tutti i modi possibili le ragioni, fino a farlo diventare argomento di confronto e materia di relativi atti e determinazioni sociali, nelle opportune sedi ufficiali delle nostre associazioni di categoria.
Grazie a Tutt* per la lettura e, ancor di più, per l’accoglienza che riuscirete a dare a questo mio scritto.
Ad maiora.
Direttore didattico, Scuola IN Counseling Torino – Lo Specchio Magico.
Buongiorno,
ho letto con attenzione e condivido appieno tutto quanto scritto, sono all’ultimo anno del mio percorso formativo in Counseling e desidero fortemente contribuire alla diffusione corretta di questa meravigliosa professione.
Grazie per la sua chiarezza.
Cordiali saluti
Sabrina Pagani
Cara Sabrina…
grazie per il feedback e un grande in bocca al lupo per la tua carriera di Counselor.
Carissimo Domenico, sono un counselor, concordo pienamente con te. Il tuo scritto chiarisce bene le funzioni e gli obiettivii del counselling. La disputa nata all’ interno della categoria degli psicologi riprende l’ antica e vecchia diatriba sulle competenze specifiche del pedagogista rispetto a quelle dello psicologo. Anche in questo caso il discorso,la prassi educativa e anche didattica, di competenza specifica del pedagogista sono stati spesso discussi e trattati dallo psicologo invadendo ed espropriando dal campo il lavoro del pedagogista.
Penso che sia arrivato il momento di fare chiarezza e di riconoscere la specificita’ delle varie figure professionali certificate da un percorso di studi che ne chiarisce gli ambiti e i contesti di applicazione
Cara Maria Carmela…
continuiamo a mettercela tutta!
un abbraccio
Ottimamente detto e ottimamente scritto!
Apprezzo l’intelligenza e la passione che anima il tuo articolo. Nella mia esperienza (come Scuola indirizzo Voice Dialogue) debbo dire che la relazione con gli psicologi (ho avuto diversi allievi psicologi, psicoterapeuti, psichiatri o medici) le cose sono sempre state chiare e senza problemi.
Mi fa anzi piacere aver creato un network grazie al quale il counselor può chiedere un consulto o un parere a chi ha un’esperienza precisa nel campo della patologia, e mi auguro che possa continuare così! Infine: penso che il counseling “intercetti” anche un pubblico che non vuole andare dallo psicologo perché considera la psicoterapia qualcosa riservato ai “matti” (ce ne sono ancora molti che pensano così!)… semmai, dopo un valido percorso di counseling, ci sono persone che decidono di proseguire con una psicoterapia su temi di disagio più profondo …
In altri paesi si collabora .. io continuo a immaginare che possa avvenire anche qui!
Un cordiale saluto e grazie, Franca
Grazie a te, Franca.
Un abbraccio.
Ciao, ho letto l’articolo. Faccio presente di essere laureata in scienze dell’educazione quadriennale e in psiciologia clinica quinquennale, ovvero 2 corsi di laurea svolti per inquadrare ben bene il disagio da diverse prospettive. Ho, inoltre, lavorato per tanti anni in qualità di educatrice professionale ed ora mi accingo ad effettuare l’esame di stato in psicologia. Ho svolto, a tal proposito, un anno di tirocinio per accedere all’esame di stato e vi posso garantire che ho imparato tanto dalla psicologa coordinatrice dell’ente e dalla psicoterapeuta esterna. Ho, altresì lavorato con altri educatori, psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali, medici e quanto altro. Ho qualche volta incrociato dei counsellor e ho notato sovente differenze sostanziali da ciascuna delle figure citate in precedenza. In riferimento a questo vi prego di riflettere sulla cosa alla quale ho riflettuto anche io e probabilmente la stessa a cui si rivolge l’attenzione dell’ordine degli psicologi. Anche un solo semplice periodo di difficlta’, attraversato da una persona e caratterizzato da un disagio psichico seppur di natura transitoria, merita di essere consideraro e trattato con la stessa importanza di uno stato patologico, attraverso strumenti interpretativi valutati ermeneuticamente e ah hoc da parte di chi ha studiato la materia opportuna per farlo ovvero la psicologia. Questo è corretto e indubbio. Non lo dico per scoraggiare la velleità di chi si percepisce come adatto, abile o utile al prossimo, il punto è un altro. Ciò che consente dil fondare il proprio agire su un quadro di riferimento universitario, storico e strutturato su una base teorica consolidata da secoli, a mio avviso è una necessità imprescindibile per garantire alla persona in difficoltà (ribadisco seppur in lieve disagio esistenziale) una possibilità concreta e reale di essere compreso e ben accompagnato in un processo di superamento degli ostacoli esistenziali. Questa non mi sembra una pretesa, bensì una forma corretta di gestione di un ambito particolare come la salute specie se mentale. E’ giusto che siano gli psicologi ad occuparsi del disagio per il semplice fatto che hanno svolto un percorso di laurea finalizzato a questo durato ben 5 anni. per non parlare della psicoterapia che ne prevede ulteriori 4. In relazione alla mia esperienza ne ho sentite di teorie da parte dei consellor con cui mi sono relazionata e in rarissimi casi non ho riscontrato delle profonde lacune metodologiche e culturali in ambito psicologico o più semplicemente pedagogico. Concludo dicendo che la natura umana è un argomento delicato e non può essere trattato se non da chi ha davvero studiato per farlo.
Ciao Olga.
A fronte di una storia dell’umanità, che dalla tragedia e dalla filosofia greca, dai mistici, dalle guide spirituali e dai maestri-pedagoghi di ogni tempo, ecc. ecc, ha in mille modi buoni affrontato il disagio psichico, possibile che ora dobbiamo rinchiuderci nella riserva sanitaria della psicologia!?
D’altro canto, e solo come semplice spunto esemplificativo di riflessione, cosa può dirti il fatto che una certa parte dei miei clienti viene da me o perchè insoddisfatto di una precedente relazione con uno psicologo o perchè proprio da uno psicologo non ci vuole andare?
Che risposte vogliamo dare a queste persone?
E che dire del successo pratico professionale di molti Counselor, riscontrabile dalla soddisfazione dei loro clienti?
Non pensi che una maggiore apertura mentale e relazionale, da parte degli psicologi che ci fanno la guerra, sarebbe cosa più buona e giusta?
Grazie per aver commentato, contribuendo al confronto.
Ciao Domenico. lo psicologo in effetti ha un costo, un concelor o conselor non so! Il prezzo, specie in ambito psicoanalitico, è determinato “freudianamente” (per chi ne ha letto, lo sa) e rappresenta un deterrente per la volontà di ‘guarigione’ o meno (guarigione in senso laico e non solo “sanitario”, visto che su questo termine si concentra tutto il vostro contradditorio).
Scusami se ribadisco il concetto che l’uomo va studiato e conosciuto prima di essere potenzialmente “sanato”. E in relazione a tutti coloro i quali vanno dai counselor per superare momenti critici piuttosto che dagli psicologi, ti rispondo con una spicciola associazione di idee: se voglio comprare della frutta, mi reco dall’ortolano e non dal pescivendolo! Il fatto stesso di scegliere una persona che mi possa guidare sulla base di un corso formativo x piuttosto che un indirizzo vero universitario strutturato sulla PSICOLOGIA implica in sè la volontà, da parte del fruitore, di non voler superare i propri conflitti. Spero che pubblicherete anche questa mia risposta. 🙂
Come non pubblicare simili argomentazioni!?
A leggerle ci si convince ancor più di come stanno le cose: tanti psicologi, come te, proprio non ce la fanno a vedere la possibilità di un’esistenza che non abbia bisogno di cure sanitarie, ma “solo” di accoglienza, ascolto, sostegno.
Accoglienza, ascolto e sostegno che, chi non ha la testa impallata da studi universitari mal appresi e mal elaborati, nonchè da forti spinte nevrotiche da frustrazioni varie, impara e mette in atto sicuramente meglio.
Sono sicuro che chi la pensa come te farebbe molta fatica a reggere una formazione come quella che si fa nella mia Scuola IN Counseling Lo Specchio Magico Torino!
Ti sfiderei quasi a provare. 😉
Spero che pubblicherete la mia risposta. Diversamente sara’ chiaro il modo con cui fate proseliti 😉
Spero che pubblicherete la mia risposta. Diversamente sara’ chiaro il modo con cui fate proseliti 😉
Di quale commento parli!?
Scusa non ho capito ciò che hai detto. Mal digerito che?Sono davvero sconcertata. Non perdo più tempo a scrivere perchè ti commenti da solo.
Ecco… bella dimostrazione di uno dei principali perchè tanti psicologi proprio non ce la fanno a reggere il confronto.
Proiettano sugli altri il proprio disagio psichico.
Si certo signor Domenico, alteri pure le conversazioni e offenda pure tutta la categoria di psicologi definendoli “disagiati psichici”, per le ovvie ragioni di inferiorita’ da Lei vissuta. La saluto cordialmente ricordandoLe che per legge probabilmente dovrà cambiare mestiere.
Bene. E con questo metto fine a questa discussione (non darò più spazio a commenti di questo tenore). A chi legge (spero a partire da un’attenta lettura di tutto il mio articolo) ogni possibile conclusione di merito, di giudizio, di valore, di sentimento.
Ad maiora!