COACHING & COUNSELING, IDENTITA’ E DIFFERENZE (Cap. 2).

COACHING & COUNSELING, IDENTITA’ E DIFFERENZE.

 

 

 

A cura di:

Domenico Nigro.

Direttore didattico e trainer della Scuola IN Counseling. Consulente aziendale. Life e Business Coach.

 

CAP. 2: IL COACHING. MOTIVAZIONE E POTENZIALITÀ

(per leggere o scaricare tutti i capitoli dell’opera, clicca qui…)

 La motivazione è ciò che spinge e sostiene l’agire di un uomo.

La parola stessa congiunge i due termini, “motivo” ed “azione”, che ne determinano il significato.

Per passare all’azione, un uomo ha bisogno di un motivo, termine che racchiude, nella sua radice, il senso del “moto” / “movimento” / “azione”.

Quanto più, da chi agisce, tale motivo sarà considerato importante, tanto più forte sarà la sua motivazione ad agire.

Quali sono i motivi che spingono un uomo all’azione?

Un uomo entra in azione, innanzitutto, per soddisfare un proprio bisogno.

Spinto da uno stato di crescente disagio/malessere, che si associa all’insorgenza e allo sviluppo di un qual si voglia bisogno, l’uomo si muove verso il  suo opposto stato di benessere, che raggiunge una volta soddisfatto quel bisogno stesso.

L’attenzione posta sul piano dei bisogni, immediatamente, ci introduce in un campo più ampio ed articolato, qui definito dalle coppie di opposti:

  • “malessere” / “benessere”
  • “insoddisfazione” / “soddisfazione”.

Ma potremmo tranquillamente rifarci ad una coppia di opposti ancora più generale, quella del:

  •  “dolore” / “piacere”.

Insomma, con le nostre azioni, fuggiamo da ciò che ci procura dolore (ciò che ci fa star male) ed inseguiamo ciò che ci procura piacere (ciò che ci fa star bene).

In un campo così definito, l’azione legata alla soddisfazione di un bisogno diventa condizionata (e condizionabile):

  1. sia dal quanto e dal come è in grado di produrre “piacere”, a chi quell’azione compie,
  2. sia dalla sua concreta capacità di realizzare l’obiettivo verso il quale si muove.

In altre parole, un’azione può avere in sé un duplice valore motivazionale:

  1. funzione di quanto il semplice compierla produca piacere a chi la compie
  2. funzione dei risultati che è in grado di produrre.

Il primo caso richiama l’attenzione sul rapporto tra l’azione e le “potenzialità” di chi la compie.

Il secondo caso richiama l’attenzione sul rapporto tra l’azione e l’obiettivo di chi, nel compierla, vuole (ha bisogno di) realizzare.

Partiamo dall’analisi di questo secondo caso.

L’azione è il mezzo che, attraverso la realizzazione di un obiettivo, permette la soddisfazione di un bisogno ed il godimento del piacere ad esso associato (il beneficio che la soddisfazione di un bisogno produce).

Quindi, su questo piano e per questa via, senza la realizzazione di un obiettivo, non è possibile soddisfare un bisogno e godere del piacere che questo produce.

Facciamo un esempio: ho sete (bisogno), la sensazione di benessere associata al dissetarmi è il beneficio/piacere che voglio ottenere, l’acqua è il mio obiettivo; tutto ciò che faccio per reperire dell’acqua (e berla) è l’azione che metto in atto, ma è il reperimento dell’acqua (la realizzazione del mio obiettivo) che mi permette di soddisfare il mio bisogno e di godere della cosa.

Quindi: laddove la realizzazione di un obiettivo è condizione ineliminabile per la soddisfazione di un bisogno, l’uomo passa all’azione solo quando individua un obiettivo realisticamente conseguibile.

Voglio riportare un esempio, che si riferisce ad un esperimento di laboratorio.

In un grande acquario viene collocato un luccio (pesce predatore particolarmente aggressivo) e sfamato con pesciolini vivi, fino a sazietà. Successivamente l’acquario viene diviso in due metà, grazie all’inserimento di una lastra di vetro infrangibile e, nella metà non occupata dal luccio, vengono immessi altri pesciolini.

In un primo momento, il luccio non dimostra alcun interesse per la cosa, in un secondo momento, invece (evidentemente quando la fame riaffiora), si muove minaccioso verso i pesciolini, andando a sbattere contro la lastra di vetro. L’azione viene ripetuta più volte e con determinazione crescente (immaginiamo, anche, con dolore crescente), fino a quando il luccio non desiste definitivamente, disinteressandosi dei pesciolini e non muovendo più alcuna azione nei loro confronti (evidentemente considerando inutile il farlo). A quel punto, la lastra di vetro viene levata, i pesciolini continuano a tenersi alla massima distanza dal luccio, che continua a non intraprendere azioni nei loro confronti, rimanendo nella propria porzione di vasca, inconsapevole dell’assenza della lastra e inconsapevole della sua nuova possibilità di soddisfare la propria fame, andando a prendersi i pesciolini in quella parte di vasca a lui, prima, preclusa.

Morale: non basta un bisogno per entrare in azione, occorre un obiettivo considerato realisticamente conseguibile.

In questo caso, parliamo di motivazione in presenza di un motivo/bisogno e di un suo correlato obiettivo,  considerato soggettivamente realizzabile, per entrare in azione.

In molti casi, la presenza di un obiettivo, è fondamentale per sostenere la motivazione di un individuo.

In altri, è inutile (quando è considerato irraggiungibile o quando l’azione è collegata, come vedremo, alla manifestazione di una “potenzialità”).

In altri ancora, la presenza di un obiettivo può essere controproducente: quando, per qual si voglia ragione, il misurarsi con l’obiettivo è visto/vissuto da chi è chiamato a raggiungerlo, come un qualcosa di particolarmente spaventoso o ansioso.

Fortunatamente, a sostegno dell’agire umano e, quindi, della sua motivazione, agiscono anche le “potenzialità”.

Vediamo cosa qui si intende per “potenzialità”.

Il termine “potenzialità”, nella sua accezione più comune (e generale) rappresenta tutto ciò che ancora non è stato attuato ma ha una fondata e realistica possibilità di essere realizzato.

L’accezione, più particolare, di “potenzialità” alla quale qui mi riferisco, riguarda ciò che, come pura e semplice pulsione, trasformata in azione, produce per chi la agisce, uno stato di benessere (esempio: quando canto sotto la doccia, non lo faccio in vista del raggiungimento di un qualche specifico obiettivo, lo faccio perché la cosa mi piace e mi procura piacere in sé e per sé: cantare sotto la doccia è una mia potenzialità!)

Le potenzialità di un individuo (quando non sono represse) sono gli elementi costitutivi del suo modo d’essere, quelle sue caratteristiche personali sulle quali più proficuamente sarà possibile agire in chiave motivazionale (quanto aumentano le probabilità di risposta positiva se chiedo a qualcuno di fare qualcosa che gli piace?!)

In quanto tali, le potenzialità si manifestano:

  1. come tratto caratteriale (come “il codice dell’anima” di cui parla Hillman) sostanzialmente stabile nel tempo (lo riscontriamo in attività o in espressioni di noi, dall’infanzia alla vita adulta, seppure con caratteristiche diverse), che si esprime, o si è espresso, nelle circostanze più diverse (lavoro, relazioni sociali, cura dei figli, hobby, ecc.); tale tratto caratteriale, se represso, ci ingenera insoddisfazione e disagio emotivo;
  2. come bisogno la cui soddisfazione non è correlata alla realizzazione di alcun obiettivo (in quanto tale, agisce come motivazione intrinseca del fare, riscontrabile in ogni azione “disinteressata”);
  3. associate ad emozioni profonde di benessere, quando vengono attivate, coinvolgendoci intimamente con l’oggetto del nostro interesse e della nostra azione;
  4. come caratteristica dell’approccio relazionale.

Motivare qualcuno, prescindendo dalla considerazione e dalla valorizzazione delle sue potenzialità, è un’azione fatalmente destinata al fallimento.

Le potenzialità di un individuo sono caratteristiche specifiche del suo modo d’essere e di fare (curiosità, senso critico, ingegnosità, previdenza, audacia, perseveranza, integrità, generosità, socievolezza, leadership, self control, prudenza, modestia, gratitudine, ottimismo, senso dell’ humor, vitalità e passione, ecc.)  ; in quanto tali, quando entrano in azione, producono emozioni positive di entusiasmo e coinvolgimento nei confronti dei contesti nei quali si manifestano.

Ciò che più ci gratifica, i cambiamenti che consideriamo positivi ed i metodi che utilizziamo per ottenerli sono tutte potenzialità.

Non è nei risultati ottenuti che vanno ricercate le potenzialità, ma nelle emozioni positive che l’accompagnano (un risultato ottenuto in assenza di emozioni positive è sicuramente stato perseguito con modalità estranee alle potenzialità).

La potenzialità è collegata ai desideri e quindi al piacere, alla gratificazione, al coinvolgimento: l’emozione positiva è la verifica pratica del suo agire.

Il coach trova le potenzialità del cliente ascoltandolo attivamente (vedi pagg. 89 e seguenti di: Domenico Nigro, L’Abc delle Competenze Relazionali, Pendragon-Fortepiano, Bologna, 2012).

Saranno le sue stesse emozioni, percepite in relazione a quanto il cliente manifesta e racconta di sé, ad indirizzarlo verso il riconoscimento delle altrui potenzialità.

Il pensare alle potenzialità come molle interiori che (usate come “mezzo” sul quale articolare l’azione) permettono all’individuo sia di trarre maggior piacere e soddisfazione da ciò che sta facendo, sia di ottenere i migliori risultati per lui raggiungibili, diventa l’abito mentale di ogni coach, che sulle potenzialità dei propri clienti progetterà (creativamente e con ciascuno di loro) strategie e piani d’azioni finalizzati al conseguimento dei loro obiettivi.

Il miglior ambiente per l’emersione e la valorizzazione delle potenzialità è il campo delle emozioni positive.

Il coach sviluppa la propria capacità di emozionarsi al cospetto dell’emozioni dei propri clienti e per questo tramite individua le potenzialità del cliente.

Dovrà quindi prestare particolare attenzione a ciò che più piace al cliente, a ciò che questi fa con più naturalezza e spontaneità; da tutto ciò individuerà le potenzialità del cliente.

Il coaching è una relazione d’aiuto fondata sulla valorizzazione delle potenzialità dell’individuo.

Nel coaching, la valorizzazione delle potenzialità diventa, anche, una tattica motivazionale: il coach esorta i propri clienti ad investire sulle loro potenzialità per raggiungere i loro obiettivi e sviluppare i loro processi di crescita.

Il coaching è una relazione d’aiuto fondata su una filosofia di “pensiero positivo”, che assume come intrinseche alla natura umana le seguenti quattro potenzialità universali:

  1. tensione all’autorealizzazione: un bisogno proprio del genere umano, che si evidenzia, innanzitutto, in ogni individuo, nel suo prendersi  cura di sé;
  2. proattività: la capacità di agire su di sé (sulle proprie forze interne; es.: passioni ed emozioni) e sui condizionamenti esterni al fine sia di determinare volitivamente il proprio destino, sia di influenzare positivamente, migliorandolo, il contesto sociale d’appartenenza;
  3. tendenza allo sviluppo: gli esseri umani sono sistemi organizzati e hanno una tendenza innata verso la crescita e l’auto-superamento, lo sviluppo e l’integrità; non apprendono questa capacità, tendono ad utilizzarla spontaneamente;
  4. creatività: anche se innata, si sviluppa unicamente in ambiti sociali ed è la facoltà umana di produrre nuove idee capaci di migliorare l’esistente e l’esistenza.

Per un coach, considerare tali potenzialità come proprie del genere umano, vuol dire ricercarle, farle emergere e valorizzarle nell’esistenza personale di ciascun cliente con cui lavora.

La motivazione è quell’azione che il coach compie, nelle proprie relazioni di coaching, quando aiuta i propri  clienti a:

  1. riconoscere i loro bisogni
  2. individuare quali specifici obiettivi, una volta realizzati, riusciranno a soddisfarli
  3. collegare bisogni ed obiettivi alla valorizzazione (e quindi alla migliore espressione) delle loro potenzialità
  4. compiere quelle azioni e portare avanti quei progetti che permetteranno loro di soddisfare i loro bisogni e le loro potenzialità.

Ricapitolando, tre sono i piani su cui dobbiamo saper agire ogni qual volta vogliamo motivare qualcuno e, così facendo, sostenerne l’azione:

  1. il piano dei bisogni,
  2. quello degli obiettivi,
  3. quello delle potenzialità.

L’uomo agisce sotto la spinta dei propri bisogni e delle proprie potenzialità.

L’atto necessario per la soddisfazione di un bisogno è il conseguimento di un obiettivo.

Per spingere all’azione un uomo bisogna saper individuare e prospettare quegli obiettivi che meglio e maggiormente soddisfano i suoi bisogni (quelli sentiti come più importanti da lui stesso), così come bisogna saper individuare le sue potenzialità e su queste riuscire a far leva.

Il modo in cui si integra l’orientamento verso gli obiettivi e/o verso le potenzialità stabilisce l’efficacia dell’azione motivante.

(per leggere o scaricare gli altri capitoli dell’opera, clicca qui…)

 

1 Comment

  1. Codesto articolo è oggettivamente scritto bene, come tutto il il
    sito . Da fan, continuate così.

    articolo molto d’interesse