Counseling, Psicoterapia e il Confine di Contatto.

Counseling, Psicoterapia e il Confine di Contatto.

Il Counseling è un’attività che nasce nel mondo della scuola media superiore statunitense, ai primi del ‘900, per opera di alcuni insegnanti che si ripromettono di aiutare i propri allievi a meglio affrontare le difficoltà degli studi e dell’orientamento post diploma.

Contrariamente a quanto sia, dai più, immaginato, dunque, il Counseling NON nasce dal mondo “Psi” (Psicologia / Psicoterapia), ma da quello pedagogico, per iniziativa di alcuni volenterosi e prodighi professori, che, in forza del quotidiano contatto professionale con i propri studenti, rendendosi conto delle difficoltà che questi incontravano nel compiere e nel sostenere le proprie scelte, in materia di studi, nel mondo del lavoro e nelle vicende di vita personale, istituiscono un’attività specialistica e professionale, per aiutarli.

Questi insegnanti offrirono ai propri studenti un servizio di orientamento e guida motivazionale, che li aiutava a muoversi, con migliori risultati, nelle loro scelte di studio e di lavoro.

Le ispirazioni e la prassi di tale “servizio aggiuntivo”, rispetto all’ordinario insegnamento di materie scolastiche, erano di chiara matrice pedagogica e filosofica:

  • Dalla Filosofia mutuava lo spirito maieutico dell’indagine introspettiva, volta a estrarre quella coscienza di sé e quella conoscenza della vita e del mondo funzionale al buon vivere;
  • Dalla Pedagogia derivava l’intenzione di valorizzare potenzialità, risorse e talenti dei soggetti cui si presta aiuto.

Tale “servizio scolastico aggiuntivo” fu chiamato, dai suoi ideatori-fondatori, “Vocational Counseling” e “Guidance Counseling”.

Ne troviamo testimonianza nel testo che segna la nascita storica del Counseling, “Choosing a Vocation” (“Scegliere una vocazione”), scritto nel 1909 da Frank Parsons, un Counselor, Professore dell’ “High School” statunitense.

Nel suo libro, Frank Parsons traccia le

LINEE GUIDA DEL COUNSELING PROFESSIONALE:

  1. Il lavoro sulla motivazione: la valorizzazione cioè della spinta “vocazionale” dei giovani (alias i primi clienti dei primi counselor), vista come istanza mossa dalle loro migliori capacità e dai loro più forti entusiasmi; F. Parsons, anticipa di almeno un ventennio la visione che proporrà la scuola della Psicologia Umanistica, individuando nella valorizzazione della propria “vocazione” una delle questioni più rilevanti per i giovani e per le persone in generale, relativamente alla possibilità di aver successo nel lavoro e nella vita.
  2. L’importanza data al “processo” necessario per arrivare alla definizione e attuazione della miglior scelta possibile per il bene di chi la compie: conoscenza di sé, auto-indagine, auto-rivelazione, autoapprendimento, sviluppo delle capacità di adattamento.
  3. Il ruolo del Counselor, di facilitatore del processo di cui sopra.
  4. La formazione di un Counselor, che avviene attraverso specifiche lezioni, lavori di ricerca, pratiche di laboratorio, analisi dei risultati ottenuti, conferenze, discussioni e prove speciali soggette alla critica dei trainer e dei partecipanti ai gruppi di lavoro, circa le indicazioni ritenute appropriate per la soluzione del problema specifico presentato nei casi in esame.
  5. I requisiti minimi per accedere al corso di formazione professionale in counseling:
    • Un diploma di scuola superiore o equivalente;
    • Almeno due anni d’esperienza lavorativa, come insegnante, imprenditore o addetto a una qualche funzione sociale;
    • Un’età minima di venticinque anni e un buon grado di maturità personale.
  6. Le qualità umane del Counselor:
    • assennatezza, carattere eccellente e personalità che inviti al rispetto e alla fiducia, buona cultura generale;
    • buone capacità d’apprendimento, buone maniere e cortesia;
    • conoscenza pratica dei principi fondamentali e metodi della psicologia moderna;
    • esperienza personale che implichi sufficiente contatto umano e una buona conoscenza delle diverse tipologie e fasi della natura umana;
    • capacità di comprensione delle motivazioni sottostanti agli interessi e alle ambizioni che governano la vita degli uomini;
    • essere in grado di riconoscere i segnali che qualificano il carattere delle persone;
    • essere capace di trattare con i giovani in modo empatico, sincero, curioso, schietto, collaborativo e attraente;
    • avere un buona attitudine “allo stare in, e all’essere di, servizio”, spirito di partecipazione ed imparzialità;
    • tatto, comprensione intellettuale e una buona dose di creatività;
  7. I principi su cui basare la relazione counselor-cliente:
    • non possono essere istituzioni e/o parenti a scegliere per i giovani; sono loro (i clienti) a scegliere la propria vocazione professionale; il counselor li accompagna nel percorso di consapevolezza che li porterà a riconoscere la propria “vocazione” e a compiere le relative scelte di studio e di lavoro;
    • è la persona (il cliente), con la sua stessa osservazione, autoanalisi ed esperienza, a far luce sulle sue questioni;
    • bisogna rispettare le attitudini, abilità, ambizioni, risorse e limiti di ogni persona, creando le condizioni per cui sia la persona stessa a riconoscerle e a decidere cosa farsene.

Tenendo a mente queste linee guida del Counseling Professionale, ritorniamo alla storia del Counseling.

Abbiamo visto il Counseling nascere come attività scolastica, volta ad aiutare giovani individui a muoversi più proficuamente nella loro esistenza.

Come?

Accogliendoli e coinvolgendoli in una relazione professionale, interpersonale, che li rassicurava e infondeva loro fiducia, li aiutava a riconoscere le proprie potenzialità, li aiutava a dargli valore, a svilupparle e a puntare su di queste per meglio affrontare le difficoltà della loro esistenza.

Come?

Ricorrendo a specifiche pratiche e competenze relazionali, in grado di attivare lo sviluppo di quei loro stati di consapevolezza, e di responsabilità personale, necessari ad affrontare le richieste del vivere sociale cui faticavano a dare buone risposte.

Comprendendo questo, possiamo stupirci che il Counseling si sia velocemente sviluppato come attività professionale utile non solo per giovani adulti alle prese con le problematiche della loro età, ma a chiunque, per qualsiasi ragione, si ritrovasse in una qualche difficile situazione personale?

Infatti, neanche il tempo di affermarsi come servizio scolastico e il Counseling si espande in molti altri campi del vivere sociale e dell’esistenza individuale, diventando attività professionale specifica di professionisti formati alla bisogna (ritorna alle linee guida del Counseling Professionale, sopra tracciate).

Qual è la qualità del Counseling, che più ne sostiene lo sviluppo e l’affermazione?

Indubbiamente, l’efficacia nell’aiutare le persone a cambiare quei propri atteggiamenti mentali, emotivi e comportamentali, che contribuiscono ad alimentare le difficoltà che stanno vivendo.

Data questa qualità, la storia del Counseling non poteva non incrociare quella della Psicologia, chiaramente nel versante psicoterapeutico.

Quanto come e dove questo incrocio sia stato, sia e possa continuare a diventare un’occasione d’incontro, collaborazione, integrazione, piuttosto che di scontro, conflitto e inimicizia, é dipeso, dipende e dipenderà dalla qualità delle persone coinvolte in tale incrocio.

Da un punto di vista storico, quello che è certo è che, nel quarto decennio del ‘900, psicoterapeuti di spirito e formazione umanistica, condividendo la visione fondante del counseling, relativa all’uomo e alla sua centralità, in materia di “azioni e comportamenti utili ad aiutarlo nei suoi momenti di difficoltà esistenziale”, si appropriano dello spirito, delle intenzioni e delle pratiche del Counseling, le sviluppano e le integrano nelle loro relazioni psicoterapeutiche.

Valgano a supporto indiscutibile di questa mia affermazione le parole, qui sotto riportate, di Carl Rogers, esimio rappresentante della Psicologia Umanistica, uno tra i più importanti psicoterapeuti della storia umana e, inopinatamente e fallacemente, da molti considerato il padre del Counseling (Rogers non ha inventato il Counseling, lo ha valorizzato).

Carl Rogers, nel suo libro “Psicoterapia di Consultazione”, (siamo nell’America del 1942) così parla di Counseling:

<< Ci sono molte persone la cui professione consiste in gran parte nell’avere colloqui con soggetti che ad esse si rivolgono, per determinare, mediante tali contatti personali e diretti, modificazioni costruttive nel loro atteggiamento. Si chiamino essi psicologi, consulenti psicologici universitari, consulenti psicologici matrimoniali, psichiatri, assistenti sociali, consulenti psicologici per l’orientamento scolastico nelle scuole superiori, assistenti dei lavoratori dell’industria, o altro, le tecniche e i metodi di cui si avvalgono ci interessano solo se, dopo il colloquio, il disadattato, l’eterno indeciso, il fallito o il delinquente, sa adattarsi meglio ai propri problemi e gli riesce meno difficile far fronte, in modo costruttivo, alla realtà della vita.

A tali procedimenti di colloquio si possono dare nomi diversi; possiamo chia­marli, con un’espressione semplice e descrittiva, colloqui terapeutici; più spesso, però, vengono definiti globalmente ‘counseling’, espressione entrata ormai nel linguaggio corrente soprattutto presso i circoli pedagogici. Oppure questi contatti, intesi a porre rimedi e cure, possono esser classificati sotto la voce ‘psicoterapia’, termine questo comunemente usato da assistenti sociali, psicologi e psichiatri clinici. >>

Insomma, secondo Carl Rogers, i colloqui tra chi aiuta una persona a migliorare l’adattamento alla realtà della vita, possono definirsi indifferentemente “counseling” oppure “psicoterapia”.

Peccato, però, che Rogers parli di tali colloqui come un qualcosa di utile a chi definisce come: “il disadattato, l’eterno indeciso, il fallito o il delinquente”.

Insomma, nonostante Rogers diventerà famoso per la sua idea di “terapia centrata sulla persona” (nel 1951 scrive “Client-Centered Therapy”), nonostante insegnerà al mondo intero che, a etichettare le persone, si smette di vederle come tali, non riesce a fare a meno di farlo.

Saranno forse la sua formazione e i suoi interessi da Psicologo a fuorviarlo?

Che piaccia o no, la Psicologia è una scienza che studia le cause del comportamento umano, etichettandone le declinazioni, differenziandole, innanzitutto, in malate e sane.

Non stupisce, infatti, che il mondo “Psi” sia un mondo integrato a quello medico.

La relazione psicoterapeutica nasce e si sviluppa tra due soggetti che si identificano, l’uno, nelle vesti del guaritore (anche quando pratica una psicoterapia centrata sulla persona!), l’altro, in chi necessita di guarigione.

Date queste condizioni, la relazione psicoterapeutica non può che inquadrarsi in un rapporto di superiorità tra psicoterapeuta e suo assistito, tipologia di rapporto che la relazione di Counseling esclude.

Il fatto che gli Psicoterapeuti di Scuola Umanistica abbiano scoperto che la relazione di Counseling sia un modo buono e funzionale di approcciare i propri pazienti e di gestirne la relazione psicoterapeutica, non snatura i fondamenti della loro cultura psicologica, basata sull’analisi, sulla ricerca e sull’interpretazione delle cause del comportamento umano, in altre parole, dei suoi “perché”.

Un Counselor non è interessato ai perché del comportamento, dei pensieri e delle emozioni, dei suoi clienti; a un Counselor interessa che ai propri clienti diventi chiaro come i loro comportamenti, pensieri ed emozioni, si colleghino a ciò che sta loro capitando (nel “qui e ora” in cui questo avviene) e cosa quelle emozioni, quei pensieri e quei comportamenti producano nella loro esistenza.

Il lavoro del Counselor è mosso principalmente da questa intenzione!

A questa seguirà quella di individuare, insieme al cliente, esplorandone le possibilità, gli opportuni cambiamenti.

È questa la fondamentale differenza tra la Psicoterapia e il Counseling. L’una irresistibilmente attratta dalle cause del comportamento, dei pensieri e delle emozioni umane; l’altro dalla volontà di aiutare le persone a cambiare quei comportamenti, pensieri ed emozioni, che stanno complicando la loro vita, ostacolandone i migliori sviluppi.

Noi Counselor sappiamo quanto valorizzare le cause e i “perché” di un qualsiasi accadimento possa, paradossalmente, contribuire a cristallizzarlo, invece di promuoverne il cambiamento.

Quindi, noi Counselor non possiamo accettare che il Counseling, che non ritiene l’interesse verso le cause e i perché del comportamento umano utile a promuoverne il cambiamento, sia confuso con la Psicoterapia, che si muove con idee opposte.

È questa la principale ragione che dovrebbe spingere noi Counselor a smarcarci dalle influenze provenienti dal mondo “Psi”.

Più lo faremo e più renderemo riconoscibile la nostra identità professionale e, con ciò, il senso e le ragioni per rivolgersi ad un Counselor piuttosto che a uno Psicoterapeuta.

Più lo faremo e più renderemo il nostro fare Counseling efficace, perché sempre più lo radicheremo negli aspetti che maggiormente lo individuano e gli danno forza ed efficacia:

  • Ascolto.
  • Accoglienza.
  • Osservazione non giudicante.
  • Posizionamento nel “qui e ora”.
  • Valorizzazione della relazione e in questa:
    • del “Sentire” dei relazionanti (Counselor e Cliente), cioè di quel registro dell’esperienza umana in cui hanno corpo le emozioni, i sentimenti, le sensazioni e tutti i bisogni a queste collegati;
    • delle forme di comunicazione gentile ed empatica, che tale registro sanno valorizzare;
    • del suo (della relazione) andamento dialogico – processuale,
    • del confronto critico e di tutte le forme e i contenuti esperienziali che la stessa relazione rende, legittimamente, possibili.

Purtroppo, per le sorti del Counseling, ci sono ancora troppi counselor che fanno counseling ragionando da Psicoterapeuti.

Sono quei counselor che vogliono “capire”, invece di “comprendere”; quei counselor che si spiegano e spiegano ai propri clienti i perché dei loro comportamenti, riconducendoli a disfunzioni psicologiche varie, dovute invariabilmente a una qualche fissazione del “Sé”, collegata a una qualche sua ferita, causata, volente o nolente, ora da un improvvido genitore, ora da un infausto partner, ora da chissà chi o da chissà quale accidente occorso nella vita dei propri assistiti.

Sono counselor i cui pensieri e il cui operato danno fiato alle trombe di quegli psicologi che accusano noi Counselor di abusare della loro professione.

In Italia, due sono le circostanze che hanno maggiormente contribuito e continuano a contribuire, non poco, all’inquinamento psicoterapeutico della cultura e delle prassi del counseling:

  1. l’invischiamento storico culturale Counseling-Psicoterapia;
  2. il fatto che il Counseling sia stato introdotto da Psicoterapeuti, con l’istituzione di loro specifici corsi di formazione professionale per Counselor.

Per tutti questi Psicoterapeuti, poter proporre la formazione in counseling, anche a NON psicologi, è stata (e continua a essere) un’interessante opportunità di lavoro e di business.

Per alcuni di loro è stato uno spontaneo sviluppo della loro credenza che, negli aspetti salienti, Counseling e Psicoterapia fossero la stessa cosa.

Sto parlando degli Psicoterapeuti che fanno Psicoterapia seguendo il cosiddetto “Modello Umanistico”, volendosi differenziare, con ciò, da quei loro colleghi che, invece, seguono il cosiddetto “Modello Medico”.

In cosa consistono l’uno e l’altro?

Con il “Modello Medico” si parte dal diagnosticare lo stato psichico della persona, ricorrendo a tecniche e metodologie considerate scientifiche e di appannaggio esclusivo di personale medico, formato alla bisogna (psichiatri, psicoterapeuti, psicologi), e si procede con la cura dello stato psichico di quella persona, stabilendo e gestendo con la stessa un rapporto direttivo e prescrittivo (seppur, a volte, caratterizzato da grande umanità).

Seguire il “Modello Umanistico” vuol dire:

  • puntare sulla messa in atto di pratiche relazionali in grado di coinvolgere la responsabilità della persona in cura, nella scoperta delle cause che la portano ad adottare pensieri e comportamenti disfunzionali al proprio benessere,
  • procedere, sempre con il ricorso a pratiche relazionali che coinvolgono la responsabilità della persona in cura, con l’individuazione del da farsi per disattivare tali cause e attivare nuovi pensieri e comportamenti, questa volta funzionali allo stare bene.

Il “Modello Umanistico” prevede un’attenzione dello Psicoterapeuta a non agire in modo direttivo e prescrittivo, un’attenzione che risponde, però, più a un’intenzione metodologica (le cui declinazioni spesso lasciano il paziente in pericolosi stati di solitudine) che non a un vero e proprio mettersi su di un piano di pariteticità relazionale e di disinteresse nei confronti dei “perché”, alias delle “cause per cui”, i propri assistiti provano quello che provano, fanno quello che fanno e pensano quello che pensano.

Insomma, ciò che unifica il modello medico e quello umanistico della Psicoterapia è l’attenzione, più o meno sottolineata, alle cause e ai perché del comportamento dei propri assistiti.

L’attenzione alle cause e ai perché deriva dal presupposto culturale che le percezioni e i pensieri degli esseri umani dipendano dai loro stati psichici e che quelli di chi abbisogna di cure psicoterapeutiche possano essere stati condizionati da accadimenti passati che li hanno alterati, al punto da renderli disfunzionali.

Per riportarli in buoni condizioni, bisogna scoprire cosa è accaduto che ha alterato lo stato psichico della persona e spiegargli che ciò che percepisce e pensa è dovuto a quello che gli è successo e il suo comportamento ne è una logica conseguenza.

Uno psicoterapeuta, in un modo o in un altro, tratta sempre le cause e i perché delle percezioni, dei pensieri, dei sentimenti e dei comportamenti dei propri assistiti, che immancabilmente collega a stati psichici/comportamentali, variamente alterati e/o disfunzionali, che devono essere cambiati e, per questo, devono essere riconosciuti dagli stessi assistiti, che, così, diventano espertissimi delle proprie turbe psichiche e degli accidenti esistenziali che le hanno procurate, senza per questo, però, avere alcuna garanzia di riuscire a venirne fuori.

Il Counseling è altro!

Il Counseling è un “Modello Relazionale”, caratterizzato dal particolare e specifico modo di stare e di agire, del Counselor, nella relazione d’aiuto.

Modo di stare e di agire che perde la propria efficacia se contaminato dalle categorie di pensiero, e di interesse, tipiche del mondo “Psi”:

  • le cause e i perché,
  • il “Sé”, la sua storia e le sue ferite, le sue condizioni,
  • l’azione dell’inconscio e/o l’esistenza di misteriose ed oscure energie naturali, spirituali, cosmiche, ancestrali e chi più ne ha, più ne metta!

Invischiare il Counseling con queste categorie di pensiero può certamente fare comodo a chi, essendo psicoterapeuta o un cultore di qualche disciplina esoterica, pensa di poterle utilizzare e presentare come un valore aggiunto del proprio fare counseling e del proprio proporne la formazione.

Invischiare il Counseling con queste categorie di pensiero può certamente attrarre chi, inopinatamente, ha scelto la via del counseling come espediente per soddisfare le proprie velleità di dedicarsi a studi e attività di matrice psicologica.

Ma non può certamente fare bene a noi Counselor, che di Counseling viviamo e vogliamo vivere e che per farlo, sempre più e sempre meglio, abbiamo bisogno che il Counseling sia riconosciuto per il suo valore e per quello che è!

Che piaccia o no, le qualità più importanti del Counseling stanno molto più in ciò che lo differenzia dalla Psicoterapia, piuttosto che in ciò che lo rende simile.

Essere un Counselor e fare Counseling vuol dire stare in uno specifico modo nella relazione d’aiuto e muoversi al suo interno in un altrettanto specifico modo, che uno psicoterapeuta può certamente adottare in pieno, ma a condizione di affrancarsi dalla cultura che l’ha formato (cosa assai complessa, complicata e difficile!); una cultura i cui capisaldi sono:

  • l’osservazione giudicante del paziente, indispensabile per produrre una diagnosi del suo stato psichico,
  • la ricerca delle cause del suo comportamento, del perché dei suoi pensieri e delle sue emozioni, che servono a definire il quadro clinico necessario a individuare la successione di cause ed effetti che hanno portato il paziente nelle condizioni cui si presenta,
  • l’interpretazione del significato dei comportamenti, dei sentimenti e dei pensieri dei pazienti.

Quando uno Psicoterapeuta, senza sganciarsi completamente da questi capisaldi, si arroga il diritto di fare Counseling e, addirittura, di insegnarlo, anche se in buona fede, depaupera il valore del Counseling e ne limita le possibilità, danneggiando chi è Counselor, senza essere uno Psicoterapeuta.

Uno Psicoterapeuta, per fare Counseling, deve dismettere i propri panni di Psicoterapeuta e, indossando quelli del Counselor, diventare un Counselor.

Cosa vuol dire dismettere i panni dello Psicoterapeuta?

Vuol dire non averne i pensieri e gli interessi, quelli sulle cause, sui perché, sulle ferite del Sé e le sue fissazioni, sull’azione dell’inconscio o di chissà quali misteriose energie oscure, naturali, spirituali, cosmiche, ancestrali e via discorrendo.

Vuol dire non usarne il lessico, la sintassi e le pose!

A qualcuno non faranno piacere queste mie parole, che mi servono, però, per ribadire un’importante ovvietà e cioè che, pur condividendo aspetti metodologici e filosofici importanti,

COUNSELING E PSICOTERAPIA SONO DUE ATTIVITÀ DIVERSE.

Un modo per valorizzarne i contatti potrebbe essere quello di riconoscere che il concetto di psicoterapia, che la inquadra come professione medico-sanitaria, si collega alla sua funzione di cura di una psiche in qualche modo malata.

Riconoscendo, però, che Psicoterapia significa anche: “utilizzo della psiche come strumento di cura”, avremmo due significati di psicoterapia:

  1. Di cura della malattia psichica.
  2. Di utilizzo della psiche (quindi di emozioni, sentimenti, atteggiamenti mentali e comportamentali, pensieri e funzioni mentali varie) come strumento di cura (come si fa, ad esempio, con la cromoterapia, che non è la cura di colori malati, ma utilizzo di colori a fini terapeutici, alias salutistici).

Chi fa psicoterapia per curare una psiche malata, “ca va sans dir”, punta a curare una qualche malattia di carattere psichico.

Chi utilizza la psiche come strumento di cura, non punta a curare alcuna malattia, ma si prende cura delle persone (che è cosa diversa dal sottoporle a trattamenti medico-sanitari), per migliorarne il benessere; come facciamo noi Counselor, ma come fanno molti altri, in molte occasioni, da un genitore a un amico, da un insegnante a un infermiere, da un coach a un sacerdote.

La differenza è che noi Counselor lo facciamo per professione, non “amatorialmente”, ma con cognizione di causa e un impianto organizzato di pensieri e azioni, appreso attraverso percorsi formativi ad hoc.

Riconoscere questa semplice ovvietà permetterebbe a tutti, anche agli psicoterapeuti, di distinguere la Psicoterapia dal Counseling e valorizzare, per questa via, una loro possibile doppia identità professionale:

  1. Sono uno Psicoterapeuta quando curo la psiche malata dei miei pazienti,
  2. Sono un Counselor quando, con le intenzioni e gli scopi di un Counselor, mi prendo cura dei miei clienti, li faccio star meglio, interagendo sapientemente con la loro psiche, per aiutarli ad orientarsi verso pensieri, atteggiamenti e comportamenti adeguati alla soddisfazione dei loro bisogni.

Insomma, fare Counseling é “interagire opportunamente, psichicamente e sapientemente, con le persone, per farle star meglio e creare, quindi, la condizione indispensabile perché possano muoversi opportunamente verso il miglioramento della propria vita”.

Un Counseling così visto, pensato e agito, porta alla scoperta di una scomoda “verità”; una verità che, per ragioni politico-economiche, é difficile affermare, e cioè che prendersi cura delle persone, interagendo sapientemente con la loro psiche, non solo le fa stare meglio, a volte funziona anche come cura di psiche malate.

Quando Rogers e compagni se ne accorsero, inglobarono il Counseling nelle loro attività.

La cosa ha finito, però, per spersonalizzare il Counseling, fino al punto di confonderlo, “tout court”, con la psicoterapia, confinandolo poi, opportunisticamente, nel compito di occuparsi di casi non inquadrabili patologicamente.

Quello che a me appare evidente è che l’integrazione Counseling-Psicoterapia abbia prodotto una versione del Counseling che ne diminuisce la forza e ne indebolisce l’identità.

Il Counseling in ambito psicoterapeutico, della Psicoterapia non può che assorbire le intenzioni, le procedure, le parole, i tempi.

Ma il Counseling ha intenzioni, procedure, parole e tempi diversi dalla Psicoterapia.

Il Counseling nasce in ambito pedagogico, come attività finalizzata ad aiutare studenti in difficoltà non per le loro malattie psichiche, ma per le loro condizioni sociali, culturali ed emotive.

Si voleva aiutarli a far meglio nelle loro carriere scolastiche e a orientarsi meglio nelle loro scelte post diploma.

È così difficile riconoscere che un Counseling che assorba intenzioni, procedure, parole e tempi di stampo pedagogico non possa che essere cosa diversa da un Counseling che assorbe intenzioni, procedure, parole e tempi di stampo psicologico?

Se questa diversità è riconoscibile e riconosciuta, allora io affermo che, per il bene del Counseling, sia cosa buona e giusta ritornare alle radici del Counseling, agendo affinché il Counseling, e il suo farlo, sia molto più assorbito da intenzioni, procedure, parole e tempi di tipo pedagogico che non psicologico.

Questo collegherebbe meglio il Counseling ai suoi background culturali, che non si esauriscono, evidentemente, nella pedagogia, ma sconfinano in tutte quelle scienze e attività umane dalle quali la pedagogia si nutre; scienze e attività umane in cui ritroviamo certo anche la psicologia, ma non certo in un ruolo e funzioni predominanti.

Le scienze e le attività umane cui più si appoggia il Counseling, insieme alla pedagogia, sono la storia, l’arte, la sociologia e l’antropologia, la letteratura e la filosofia, la comunicazione e l’economia.

Una scuola di counseling, nei propri piani formativi, deve saperne tenere conto e non limitarsi a insegnare teorie e metodi propri della scuola di psicoterapia da cui deriva o a cui si ispira.

Anche per aiutare le scuole di counseling italiane a meglio adempiere i propri compiti formativi, ho scritto il mio Manuale di Istruzione e Formazione IN Counseling. (Domenico Nigro, “Counseling. Manuale di Istruzione & Formazione”, Edizioni La Rondine, 2023)

L’ho già scritto e lo ripeto:

COUNSELING E PSICOTERAPIA SONO DUE ATTIVITÀ DIVERSE.

L’ho già scritto e lo ripeto:

<<Il fatto che Psicoterapeuti di Scuola Umanistica abbiano scoperto che la relazione di Counseling sia un modo buono e funzionale di approcciare i propri pazienti e di gestirne la relazione psicoterapeutica, non snatura i fondamenti della loro cultura psicologica, basata sull’analisi, sulla ricerca e sull’interpretazione delle cause del comportamento umano, in altre parole, dei suoi “perché”.

Un Counselor non è interessato ai perché del comportamento, dei pensieri e delle emozioni, dei suoi clienti; a un Counselor interessa che ai propri clienti diventi chiaro come i loro comportamenti, pensieri ed emozioni, si colleghino a ciò che sta loro capitando (nel “qui e ora” in cui questo avviene) e cosa quelle emozioni, quei pensieri e quei comportamenti producano nella loro esistenza.

Il lavoro del Counselor è mosso principalmente da questa intenzione!

A questa seguirà quella di individuare, insieme al cliente, esplorandone le possibilità, gli opportuni cambiamenti.

È questa la fondamentale differenza tra la Psicoterapia e il Counseling. L’una irresistibilmente attratta dalle cause del comportamento, dei pensieri e delle emozioni umane; l’altro dalla volontà di aiutare le persone a cambiare quei comportamenti, pensieri ed emozioni, che stanno complicando la loro vita, ostacolandone i migliori sviluppi.>>

Counseling è il particolare modo di stare e di agire del Counselor nelle proprie relazioni professionali, d’aiuto.

Questo particolare modo di stare e di agire il Counselor lo apprende grazie alla particolarità della propria formazione in Counseling.

Anche quando ci sono tratti comuni, la formazione in Psicoterapia è diversa da quella in Counseling.

La formazione in Psicoterapia (anche quella di concezione umanistica), avendo la Psicoterapia la “cura” della psiche umana come ragione fondante, affonda le proprie radici nella cultura psicologica, quando non in quella squisitamente medica (non a caso, solo laureati in Psicologia e Medicina possono iscriversi a una scuola di Psicoterapia).

La formazione in Counseling, avendo il Counseling, come ragione fondante, l’ “orientamento” verso le migliori opportunità esistenziali possibili dei propri assistiti, affonda le proprie radici nella cultura umanistica e, di questa, valorizza particolari funzioni pedagogiche, in particolare quelle che lavorano sul cambiamento degli atteggiamenti umani che ostacolano la realizzazione personale.

Il Counseling è un’attività che funziona perché valorizza capacità e saperi squisitamente pratici, di gran valore: ascolto, accoglienza, osservazione non giudicante, saggezza, forme di comunicazione empatica, intuito, creatività, ecc. ecc.; saperi che si apprendono in forza di formazioni dall’alto contenuto pratico (come accade per attività quali la danza, la recitazione, il nuotare e l’andare in bicicletta); saperi che possono essere appresi e sviluppati solo esperienzialmente; saperi che funzionano molto meno, se agiti e proposti come derivazione diretta di una qualche teoria, per quanto scientificamente provata (e tutto ciò che la Psicologia ci spiega, tutte le storie sui perché psicologici del comportamento e del sentimento umano, sono tutte teorie).

La formazione in Counseling è di natura squisitamente esperienziale.

Rifarsi a una qualche teoria psicologica sul comportamento e sui sentimenti umani caratterizza, invece, ogni forma di Psicoterapia e ogni forma di formazione in Psicoterapia.

Per uno Psicoterapeuta, avere alle spalle una siffatta condizione, non può che produrre un’importante influenza nel modo di vedere le cose e di agire con queste (alias nel modo di vedere le persone e di agire con queste).

Ora, poiché tutti sappiamo quanto sia difficile affrancarsi, completamente, dalle influenze della propria formazione, vogliamo considerare quanto, per gli Psicoterapeuti che si occupano di formazione in Counseling, in qualità di trainer / docenti, sia alto il rischio di finire col riprodurre, in ciò che insegnano, visioni della propria formazione, anche quelle che dovrebbero stare fuori dal Counseling?

Per questo è importante che la Formazione in Counseling sia sempre più in mano a noi Counselor, piuttosto che agli Psicoterapeuti.

Sia chiaro, con questo non voglio negare loro la potenzialità, il diritto e la possibilità di parteciparvi; voglio affermare la necessità che i confini tra Counseling e Psicoterapia siano ben marcati; voglio affermare la necessità che gli Psicoterapeuti che si dedicano al Counseling siano ben consapevoli delle differenze tra il Counseling e la Psicoterapia e stiano ben attenti a non inquinare il Counseling con visioni, atteggiamenti e modi di fare tipici della loro cultura.

Questo per il bene del Counseling, un Counseling che possa essere sempre più visto e riconosciuto come specifica e particolare attività professionale, esercitata da specifici e particolari professionisti, chiamati Counselor.

Tutti possono fare Counseling, un avvocato, un idraulico, un maestro, un insegnante di yoga, un panettiere, un educatore, un operaio, uno psicoterapeuta, un consulente aziendale, insomma chiunque, purché sia un Counselor, cioè un professionista debitamente formato in Counseling.

L’essere Counselor e fare Counseling è una condizione possibile solo per chi ha seguito una corrispondente formazione ad hoc, di cui preciso sei imperativi.

La Formazione in Counseling:

  1. deve corrispondere in modo coerente e adeguato ad uno specifico sistema valoriale, collegato alla specifica missione del Counselor: aiutare, chi ne ha bisogno e lo richiede, a meglio affrontare e risolvere le difficoltà del vivere, senza pensare, per questo, di dovergli curare qualche ferita o disturbo psicologico, né, tanto meno, qualsivoglia malattia psichica;
  2. deve proporre pratiche e prassi relazionali, professionali, coerenti con tale sistema valoriale e tale missione;
  3. deve basarsi e insistere non solo sulle cose da farsi, anche su quelle da non farsi (tipo usare  parole e muoversi su interessi che non sono da Counselor!);
  4. deve essere esperienziale;
  5. deve procedere come percorso di sviluppo personale di consapevolezza e di intelligenza emotiva;
  6. deve fondarsi sulla valorizzazione di una cultura umanistica, in cui il collegamento con teorie e saperi di tipo psicologico non sia prioritario o determinante (altrimenti, tanto varrebbe laurearsi in Psicologia e, poi, iscriversi a una scuola di Psicoterapia!).

È una responsabilità di tutti noi Counselor, e delle nostre associazioni, impegnarci perché la nostra identità professionale sia sempre più chiara e distinta.

Perché questo avvenga, è indispensabile avere buone relazioni col mondo intero e, in particolare, con chi si occupa di attività che possono aiutarci a fare meglio il nostro lavoro.

Tra questi, un ruolo importante é sicuramente quello degli Psicoterapeuti.

Ma una buona relazione richiede buoni contatti, che solo una chiara linea di confine rende possibile (lo insegna la Psicoterapia della Gestalt).

Il miglior modo di delineare questo confine è quello di specializzare, sempre più, la formazione in Counseling; cosa che porterà, sempre più, a differenziare il valore e l’importanza del Counseling, rispetto a tutte le altre relazioni d’aiuto professionale esistenti.

Questo sarà tanto più possibile quanto più, chi si occupa di Formazione in Counseling, farà propri i sei imperativi qui sopra presentati, impegnandosi a circostanziarli sempre meglio, riempiendoli di contenuti e dando loro forme sempre più congrue e coerenti allo spirito del Counseling, alle sue ragioni e alle sue caratteristiche.

Concludo questo articolo, chiedendo a tutte le Associazioni Nazionali di Counselor, per il bene del Counseling, e di noi Counselor, di indirizzare i propri sforzi soprattutto in questa direzione, organizzando convegni e gestendo attività volte direttamente a rendere sempre più chiaro a Tutti il valore della Formazione in Counseling (quella fatta nelle scuole di Counseling, non quella dei titoli di studio di chi vi si iscrive!) e, di questa, degli imperativi che la contraddistinguono.

Questo aiuterà noi Counselor ad affrancarci da tutte le influenze che ostacolano la nostra affermazione professionale, rendendo difficile e faticosa la nostra individuazione.

Questo ci permetterà di ritrovarci, tutti e meglio, in ciò che, più e meglio, caratterizza il, e dà valore al, Counseling (l’ho già scritto e lo ripeto):

  • Ascolto.
  • Accoglienza.
  • Osservazione non giudicante.
  • Posizionamento nel “qui e ora”.
  • Valorizzazione della relazione e in questa:
    • del “Sentire” dei relazionanti (Counselor e Cliente), cioè di quel registro dell’esperienza umana in cui hanno corpo le emozioni, i sentimenti, le sensazioni e tutti i bisogni a queste collegati;
    • delle forme di comunicazione gentile ed empatica, che tale registro sanno valorizzare;
    • del suo (della relazione) andamento dialogico – processuale,
    • del confronto critico e di tutte le forme e i contenuti esperienziali che la stessa relazione rende, legittimamente, possibili.

Grazie a Te, che hai letto fino qua.

Grazie, soprattutto, se darai il tuo contributo a perorare la causa che qui propongo.

Domenico Nigro Counselor

Scuola IN Counseling Lo Specchio Magico Torino

Per info sulla mia Scuola e sulle cose che faccio, contattami.

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