IL COUNSELING (Cap. 8)
COACHING & COUNSELING, IDENTITA’ E DIFFERENZE.
A cura di: Domenico Nigro. Direttore didattico e trainer della Scuola IN Counseling. Consulente aziendale. Life e Business Coach.
CAP. 8: “Il Counseling”
Il counseling è una relazione d’aiuto professionale alla quale ci rivolgiamo per meglio affrontare una nostra situazione di disagio esistenziale.
Il disagio può essere collegato al mondo degli affetti o a quello del lavoro o, più in generale, ad un qualsiasi momento di difficoltà legato alla gestione di una qualsivoglia situazione di cambiamento e/o di crisi, nella nostra vita privata come in quella sociale.
Chiediamo aiuto ad un counselor con l’aspettativa di soddisfare un bisogno: quello di superare (o di meglio gestire) lo stato di malessere con cui viviamo una particolare, nostra, situazione di vita.
Cosa avviene nella successione di incontri col counselor che produce la “magia” di farci superare il nostro stato di malessere? di farci sentire, di nuovo, bene, fiduciosi nelle nostre possibilità di soluzione dei nostri problemi e fiduciosi in una ripresa positiva della nostra esistenza?
Succede che facciamo delle scoperte su noi stessi e sui nostri rapporti col “mondo” ed in forza di tali scoperte produciamo:
- un cambiamento nel nostro modo di stare al “mondo”,
- un cambiamento di ciò che dal “mondo” stesso diventa possibile per noi prendere e ricevere.
Il counseling è un cammino di consapevolezza verso:
- la scoperta di cosa, come e quanto si muove dentro noi e del rapporto che tutto ciò intrattiene con le sollecitazioni esterne che riceviamo;
- la scoperta degli effetti che tutto ciò produce nella nostra esistenza, fuori e dentro di noi;
- il riconoscimento di come e quanto gli accadimenti che ci riguardano e gli sviluppi stessi della nostra esistenza, siano da noi stessi influenzati;
- la scoperta dei cambiamenti che possiamo produrre dentro e fuori di noi.
Il counselor guida i propri clienti lungo tale cammino, e può permettersi di farlo, per averlo lui stesso già percorso!
Il counseling è un percorso di consapevolezza attraverso il quale scoprire le proprie potenzialità/possibilità di realizzazione personale e di benessere.
Compito del counselor è quello di aiutare i propri clienti a:
- riconoscere ciò che gli si muove dentro: bisogni, aspirazioni, desideri, volontà, paure;
- vedere ciò che autonomamente non riescono a vedere: come e quanto le risposte che “ricevono” dall’ambiente siano da loro stessi influenzate.
Chi si rivolge al counseling punta ad ottenere un cambiamento di un qualche stato delle cose che lo riguarda.
Cosa e come possiamo fare per ottenere un cambiamento dello stato delle cose che ci riguardano?
cominciamo con lo scoprire:
- quali sono gli elementi caratterizzanti lo stato delle cose che vogliamo cambiare
- cosa stiamo facendo noi in tale situazione
- come lo stiamo facendo
- quali nostri bisogni, quali nostre emozioni e quali nostri atteggiamenti mentali caratterizzano la situazione in esame.
L’effettuare tali scoperte produce in noi lo sviluppo di una nuova e diversa consapevolezza circa le nostre responsabilità relative allo stato di crisi e di difficoltà che stiamo affrontando; sarà questa nuova e diversa nostra consapevolezza che attiverà quel nostro potenziale di creatività e di saggezza, che ci permetterà di produrre il cambiamento desiderato.
Questo è quanto avviene in un’esperienza di counseling di successo!
Di consapevolezza e responsabilità parlo nel mio libro “L’Abc delle competenze relazionali” (Edizioni Pendragon-Fortepiano, Bologna, 2012), inquadrando sia la consapevolezza, sia la responsabilità tra i “saper essere” che caratterizzano le competenze necessarie per vivere con soddisfazione le proprie relazioni interpersonali.
È il proprio “saper essere”, consapevole e responsabile, che permette al counselor di valorizzare uno stesso “saper essere” nei propri clienti; e sarà, poi, tale “saper essere” del cliente che gli permetterà di meglio affrontare e di superare le proprie difficoltà.
La relazione di counseling, che il counselor instaura con il proprio cliente, diventa per il cliente stesso un’esperienza di formazione.
Il counseling è un percorso formativo, di tipo esperienziale, volto alla realizzazione dei cambiamenti desiderati dal cliente.
Chi si rivolge al counseling, viene guidato dal counselor in una rivisitazione dello stato delle cose che vuole cambiare e dei rapporti (emotivi e di significato) che con queste lui stesso intrattiene.
Il counselor svolge un funzione di guida, di bussola umana che indica la direzione, ma è il cliente che percorre il cammino, che vive ed elabora la propria esperienza di counseling.
“Un’esperienza è tale quando, in forza di un qualsiasi accadimento, un soggetto riesce ad avere coscienza delle proprie emozioni e delle proprie sensazioni e riesce ad integrarle in un pensiero coscientemente elaborato, attraverso il quale dare un senso a quanto accaduto e al rapporto che con questo egli stesso ha vissuto” (vedi Domenico Nigro, “L’Abc delle competenze relazionali”, op.cit.).
Il counseling è un’esperienza di formazione che il cliente sviluppa in forza delle proprie riflessioni su quanto avviene in ogni sessione di counseling.
Compito del counselor è far sì che quanto avviene nella sessione di counseling renda possibili le scoperte del cliente e, dal cliente stesso, possa essere trasformato in esperienza.
8.1 LA SESSIONE DI COUNSELING, L’INSIGHT
Il counselor accoglie il cliente con l’atteggiamento di chi si appresta ad incontrare una persona della quale non sa niente e rispetto alla quale non nutre alcuna aspettativa.
Il counselor è consapevole del proprio “dovere professionale” di accogliere il cliente e stabilire con lui un contatto attraverso il quale sviluppare il miglior stato di consapevolezza possibile, per sé e per il cliente, in relazione a ciò che il cliente stesso “porterà” nella sessione ed in relazione a ciò che di questo, entrambi, riusciranno a cogliere e a sviluppare.
Il contributo che il counselor porterà nella sessione di counseling sarà il dispiegamento
- del suo saper essere consapevole e responsabile, presente ed affidabile, empatico, onesto ed autentico, assertivo e proattivo;
- del suo saper stare in ascolto, accogliendo il proprio cliente, prendendosene cura e stabilendo con lui il miglior contatto possibile;
- del suo saper comunicare.
“Saper essere”, “Saper stare”, “Saper comunicare”, sono gli assi portanti delle competenze relazionali di una persona.
Il counselor entrerà in contatto col proprio cliente puntando prima a capirlo, poi a farsi capire; sfrutterà adeguatamente tempi e i luoghi della sua relazione/comunicazione col cliente; sarà autentico e rispettoso; utilizzerà il discorso diretto e biunivoco, stando attento a ciò che è opportuno ed evitando l’inopportuno; presterà attenzione al linguaggio non verbale e darà il necessario valore alle emozioni (insomma tutto quanto presentato nel “L’Abc delle competenze relazionali”, op. cit.).
È questo il contributo che il counselor porta nella relazione di counseling, per incontrare il cliente ed, insieme a lui, percorrere quel cammino di consapevolezza che porterà il cliente al cambiamento desiderato.
Il tutto ruota intorno:
- a ciò che il cliente “porta” nella sessione di counseling (sia ciò che verbalizza, sia ciò che il counselor coglie della sua comunicazione non verbale),
- a ciò che di questo il counselor “fa” e a come lo rimanda all’attenzione del cliente,
- alle richieste che il counselor pone al cliente,
- ai rimandi che, di quanto avviene in seduta, counselor e cliente si scambiano.
Insomma, la seduta di counseling è :
- uno scambio di informazioni tra counselor e cliente
- un relativo confronto di riflessioni ed approfondimenti su di queste
- un momento di “esercitazioni” guidate dal counselor ed effettuate dal cliente
- un interagire di “feedback”, tra counselor e cliente (preciserò la “natura” dei feedback, gestiti nella sessione di counseling, fra non molto).
Su tutto ciò, counselor e cliente, instaurano e sviluppano la loro relazione, il cui esito più “magico” sono gli “insight”, che affiorano alla coscienza del cliente ed il loro trasformarsi in consapevolezza: il cliente scopre quegli aspetti sconosciuti di sé, delle persone e delle cose che caratterizzano la problematicità della situazione critica che sta vivendo ed, in forza di tali scoperte, attiva quel proprio processo di cambiamento che arriverà a cambiare l’intera, stessa, situazione critica che sta vivendo.
L’insight è la comprensione improvvisa di un qualcosa, quel: “ah! Le cose stanno così!” di cui, improvvisamente, diventiamo coscienti e dal quale deriviamo, immediatamente, una nuova visione delle cose, dalla quale, immediatamente, originano in noi nuove emozioni, dalle quali, immediatamente facciamo derivare nuovi pensieri, nuovi atteggiamenti e nuovi comportamenti.
Tutto ciò che il counselor fa ha come finalità ultima l’insight del cliente.
Il counselor, però, non agisce per vie dirette, verso il conseguimento dell’insight del cliente.
Come potrebbe, d’altronde!?
L’insight è un’esperienza del cliente, i cui contenuti non sono preordinabili, che il counselor può facilitare, ma non determinare.
Compito del counselor è quello di lavorare, insieme al cliente, allo sviluppo delle migliori condizioni affinché l’insight possa emergere ed il cliente ne possa fare esperienza.
Tale sviluppo riguarda le potenzialità del cliente in materia di ascolto e presenza, senso di responsabilità e consapevolezza.
Tutto è un circolo “virtuoso” di sviluppo di potenzialità che presiedono all’insight e di insight che sviluppano tali potenzialità (di ascolto e presenza, senso di responsabilità e consapevolezza).
Le condizioni quadro che rendono possibile tale circolo virtuoso sono l’accoglienza e l’ascolto attivo del counselor, il suo saper stare in contatto col cliente, orientandone l’attenzione verso:
- il riconoscimento di quali suoi (del cliente) atteggiamenti mentali e comportamentali, quali suoi stati emotivi e quali sue sensazioni ne condizionano il suo stare al mondo e gli esiti a questo correlati;
- la scoperta di come intervenire sui propri atteggiamenti mentali e comportamentali, sui propri stati emotivi e sensoriali per produrre i cambiamenti desiderati.
Il counselor orienta e sostiene il crescere dell’attenzione del cliente, riguardo i suoi stati emotivi, i suoi atteggiamenti mentali e comportamentali, facendo ricorso alle proprie “competenze relazionali” e adottando tecniche cui la propria formazione di counselor lo ha reso esperto.
È la migliore applicazione delle Competenze Relazionali del Counselor, che fa del Counseling un percorso di consapevolezza.
A partire da ciò che il counselor vede, osserva, sente, pensa, in relazione a ciò che il cliente “porta” in seduta, nonché in virtù delle proprie competenze relazionali, il counselor guida la relazione di counseling.
Il counselor conduce la prestazione professionale di counseling ora con una domanda, ora con una richiesta di precisazione, ora con un invito a sperimentare (attraverso esercitazioni di vario tipo) un determinato comportamento, ora con una richiesta a riflettere sulle emozioni, sulle sensazioni, sui pensieri presenti nell’immediatezza del contatto dialogico in essere, seppure associati alla rivisitazione dei vissuti “passati” del cliente, che il cliente stesso riferisce.
La relazione di counseling diventa, così, quel “luogo” in cui il cliente matura nuove esperienze di sé, scopre nuove “visioni” sullo stato delle cose che lo riguardano e lo hanno riguardato, diventa cosciente di propri stati emotivi di cui non sospettava nemmeno l’esistenza, diventa cosciente della relazione che questi stati emotivi hanno intrattenuto con i propri atteggiamenti mentali e comportamentali e comincia ad immaginare il proprio cambiamento.
Il counseling è una relazione d’aiuto basata sulla visione che la psicologia umanistica (Maslow, May, Rogers, Perls, per citarne i “padri” più importanti) ci ha fornito dell’uomo e di ciò che, maggiormente, serve all’uomo per crescere, per affrontare e risolvere i propri problemi, per progredire e migliorarsi.
Tale visione si fonda sulla fiducia nelle potenzialità dell’uomo.
Potenzialità che riguardano la dotazione dei “talenti” cui ciascun uomo è naturalmente fornito e fra i quali sottolineiamo, in particolare, la proattività e la correlata capacità di progettare, creativamente, il futuro, la capacità di compiere scelte improntate allo sviluppo, alla crescita e al miglioramento, scelte libere ed eticamente connotate.
A fondamento della psicologia umanistica risiede la fiducia su quanto le potenzialità dell’uomo possano svilupparsi grazie alla qualità delle sue relazioni.
Ogni relazione di counseling, di questo fondamento, rappresenta un “case history”.
La “qualità” della relazione di counseling è data dal suo essere basata sull’ascolto, sull’accoglienza, sull’osservazione, sulla sperimentazione, sul confronto dialogico (gestito per il tramite di forme efficaci di comunicazione), sul contenuto dei feedback e sul modo in cui questi vengono scambiati.
La disamina di questi elementi è trattata nel mio “L’Abc delle competenze relazionali” (op. cit.).
Ne riprenderò qui alcuni aspetti ed altri, nuovi, verranno analizzati, riguardanti, in particolare, il cosa qui si intende per “osservazione”, “sperimentazione”, “feedback”.
8.2 SPERIMENTAZIONE, OSSERVAZIONE, FEEDBACK
Accoglienza, ascolto, osservazione, sperimentazione, comunicazione efficace, gestione dei feedbak, confronto dialogico, sono gli “ingredienti” che, ben “miscelati” in ogni seduta di counseling, producono la crescita del cliente, il suo sviluppare quel percorso di consapevolezza che porterà il cliente stesso a maturare i cambiamenti da lui stesso desiderati.
Il counseling è un percorso di consapevolezza volto ad una migliore comprensione/integrazione delle istanze che i nostri sentimenti, i nostri bisogni, i nostri pensieri muovono nei confronti del nostro “io” (inteso nella raffigurazione Perlsiana di “funzione amministrativa” preposta alla soddisfazione, regolata, delle varie, e spesso contrastanti, istanze del “sé”)
La comprensione/integrazione di tali istanze passa attraverso un loro riconoscimento, che è reso possibile in virtù di un riesame della “programmazione” consolidata dei nostri modi di pensare, e di come questi si associano ed interagiscono con le nostre emozioni e con le nostre sensazioni (insomma, col nostro sentire).
Si tratta di fare esperienza di nuove e diverse, per noi possibili, modalità di connessione/interazione tra la nostra mente e i nostri bisogni/sentimenti.
È sulla base di queste nuove e diverse esperienze che noi sviluppiamo la nostra consapevolezza.
Il cliente fa esperienza, innanzitutto, dell’accoglienza e dell’ascolto del counselor di quanto egli stesso esprime e manifesta nella sessione di counseling.
Come successivo sviluppo, il cliente esperimenta gli effetti che l’accoglienza e l’ascolto del counselor producono su di sé; la rilevazione di tali effetti viene guidata dal counselor.
Tutto avviene nella dimensione dialogica relativa alle questioni sulle quali il cliente rivolge la propria attenzione e rispetto alle quali richiede l’aiuto del counselor.
La dimensione dialogica della relazione di counseling viene, di volta in volta, all’occorrenza e sulla base delle intuizioni del counselor, arricchita da una varietà di esercitazioni proposte al cliente e da lui eseguite.
Si tratta di “esercizi di consapevolezza”, che variano a seconda dell’indirizzo formativo seguito dal counselor, volti a far riconoscere al cliente quei propri stati emotivi e quei propri atteggiamenti, mentali e comportamentali, di cui non è consapevole e che, immancabilmente, ritroviamo alla base delle sue difficoltà di gestione della situazione di crisi che sta affrontando.
Tali “esercizi di consapevolezza” possono essere giochi di ruolo, drammatizzazioni, espressioni e/o esercizi corporei e/o con strumentazioni di vario tipo (scrittura, pittura, scultura), training centrati sul pensiero, sull’immaginazione, sul corpo, sul respiro.
Sono le “sperimentazioni” che caratterizzano la sessione di counseling.
Le osservazioni ed i feedback, nonché le riflessioni ad essi associate, che counselor e cliente si scambieranno sulle risultanze di tali sperimentazioni, così come su ogni contenuto, considerato significativo, dei loro colloqui, svilupperanno la consapevolezza del cliente e, con questo, il suo senso di responsabilità relativo alle difficoltà che sta attraversando, sviluppando la sua capacità di porvi rimedio.
Sul cosa si intende qui per “osservare” e per “feedback” è necessario, adesso, fare alcune, specifiche, precisazioni.
L’accezione del termine osservare, alla quale si fa qui riferimento, è quella del: <<Guardare, passando al settaccio ogni elemento costitutivo di ciò su cui rivolgiamo la nostra attenzione, senza associare ad esso alcun giudizio, alcuna interpretazione, alcuna classificazione, ma più semplicemente:
- per diventare coscienti delle caratteristiche, di forma e di sostanza, di ciò che stiamo osservando
- per scoprire quali sensazioni e quali sentimenti affiorano in noi in forza dell’osservazione che stiamo agendo >>.
In questo passare al settaccio, coinvolgiamo tutti i nostri sensi, “guardando” non solo ciò che la nostra vista può vedere, ma ciò che il nostro olfatto può odorare, ciò che il nostro tatto può toccare (al nostro esterno con le terminazioni nervose e al nostro interno con i nostri propriocettori) e “sentire”, ciò che il nostro udito può udire e ciò che il nostro gusto può assaporare.
Obiettivo dell’osservare è il diventare coscienti di tutto ciò che caratterizza la nostra osservazione; un’osservazione che attiva il nostro “ascolto” e da questo e rilanciata, un’osservazione che mette in moto il nostro “sentire” tutto ciò di cui la nostra osservazione (nei termini testé dichiarati) ci rende consapevoli.
Una tale osservazione si sostituisce all’ordinario modo cui guardiamo (giudicando, interpretando e classificando) alle cose ed è volta alla scoperta di quei nuovi e diversi modi di connettere/integrare pensieri, emozioni e sensazioni, in grado di aprirci a nuove visioni dello stato delle cose che ci riguardano e a nuove, possibili, relazioni, con esse.
Le scoperte che un tale modo di “osservare” rende possibili, passano attraverso la valorizzazione di ciò che “sentiamo”, così osservando.
“Sentire”, ascoltando ciò che si osserva, è un’esperienza guidata dal counselor, che chiama, di volta in volta, il cliente a “descrivere” ciò che il cliente stesso osserva, ciò di cui diventa cosciente, attraverso la sua osservazione/ascolto; il cliente viene chiamato a descrivere, innanzitutto, le sensazioni e i sentimenti, esperiti in associazione col proprio osservare.
Tali descrizioni sono il contenuto principale dei feedback che counselor e cliente si scambiano durante la sessione di counseling.
Tali feedback sono, quindi, la semplice, nuda e cruda, descrizione di ciò che si è visto e sentito rispetto a quei contenuti, affrontati nella sessione di counseling, su cui counselor e cliente hanno rivolto l’attenzione, spontaneamente o perché, reciprocamente, chiamati a farlo.
Feedback intesi come il descrivere:
- ciò che abbiamo osservato, nel modo più neutro possibile, prescindendo, il più possibile, da ogni forma di giudizio,
- ciò che abbiamo sentito, esplicitandolo nel modo più coerente possibile, di allineamento dei piani, verbali e non, della nostra comunicazione.
Il confronto dialogico e lo scambio di riflessioni, su tali feedback descrittivi, sono la fucina nella quale prendono forma, per poi emergere, gli “insight” del cliente.
FINE CAP. 8
Per scaricare gli altri capitoli, vai su:
https://www.scuolacounselingtorino.it/coaching-counseling/
Sono un’allieva al terzo anno della scuola di counseling dell aspic.
Complimenti per la chiarezza di questo articolo, che ha chiarito anche qualche mia perplessita’.
Spero di avere occasione di partecipare a qualcuno dei vostri seminari.
☺ grazie!
Barbara
Bene Barbara.
La aspetto!
Un caro saluto.
Domenico Nigro.