Il triangolo vizioso: ECCITAZIONE, PAURA, ANSIA.

Il triangolo vizioso: ECCITAZIONE, PAURA, ANSIA.

Ieri sera, in un modulo di formazione della Scuola IN Counseling, ci siamo soffermati su di uno stato emotivo-fisiologico che, seppure in misura e frequenza differente, riguarda tutti noi: l’ansia.

Cos’è l’ansia?

L’ansia è quel sentimento che ci invade ogni qual volta permettiamo ad una qualche nostra paura di bloccare il corso di un qualche nostro stato di eccitazione.

Fisiologicamente, l’ansia consiste in forme più o meno accentuate di respirazione affannata; affannata dai continui sforzi che facciamo per sbloccare gli stati di apnea involontaria nei quali cadiamo in risposta agli assalti della paura di cui siamo, contingentemente, preda.

Più è forte la paura, più la subiamo, maggiormente crescono l’ansia ed i suoi correlati fisiologici: difficoltà respiratorie, contrazioni e irrigidimenti muscolari vari, tremori e disorientamento.

Ma cosa accade realmente?

Quali sono i processi vitali che ingenerano l’ansia e la supportano?

Quali rimedi apporvi?

Alla ricerca di buone risposte, partiamo con un’analisi dell’insorgenza, dello sviluppo e della conclusione di ogni naturale e spontaneo processo di soddisfazione di un qualsivoglia nostro bisogno.

Quando un bisogno insorge (ed un bisogno insorge ogni qual volta ci ritroviamo in un qualsivoglia nostro stato deficitario, fisiologico-esistenziale; esempio: una carenza d’acqua nel nostro organismo oppure una carenza affettiva nella nostra vita), quando un bisogno insorge cominciamo ad accorgercene perché i nostri organi di senso cominciano a comunicarcelo; esempio: quando ci viene sete cominciamo ad accorgercene per la secchezza delle fauci e l’intero organismo comincia ad entrare in uno stato di indefinita ed inconsistente irrequietezza.

Ci ritroviamo in quello stato che in Gestalt viene chiamato di

  1. SENSIBILIZZAZIONE: primo step di insorgenza del bisogno e del processo che ci porterà alla sua soddisfazione.
  2. Le funzioni di sensibilizzazione, accentuandone gli echi, ci conducono ad un stato di CONSAPEVOLEZZA, quella condizione in cui ci rendiamo conto di aver sete! (secondo step).
  3. Da questa condizione, segue il passaggio ad uno stato di ECCITAZIONE (se nulla interviene ad interrompere il processo), che serve alla creazione e all’accumulo dell’energia necessaria per entrare in azione e agire funzionalmente, in vista del soddisfacimento del nostro bisogno (insomma, ci si dovrà pur muovere per procacciarsi l’acqua e berla e, per questo, avremo pur bisogno dell’energia vitale atta a sostenere le azioni relative al procacciarsi l’acqua e a berla).
  4. Da uno stato di eccitazione all’AZIONE, quarto step del processo di soddisfazione del bisogno in corso, il passo è breve ed il “cammino” proseguirà attraversando gli step del
  5. CONTATTO (il momento in cui il bisogno viene soddisfatto: l’acqua entra nel nostro organismo),
  6. della SODDISFAZIONE (il momento in cui godiamo gli esiti di benessere/piacere risultanti dalla soddisfazione del bisogno) e, in ultimo,
  7. della CONFLUENZA (quel fugace ritrovarsi nell’indistinta e indefinibile condizione di assenza di bisogno alcuno).

A questo punto, un altro processo di soddisfazione di un qualche altro bisogno emergente entrerà in “figura” e ad esso potremo dedicarci.

Perché è importante aver chiaro l’incedere del processo attraverso cui si realizza la soddisfazione dei nostri bisogni?

Perché l’ansia è sempre una conseguenza della paura di non riuscire a soddisfare il bisogno in “figura”, vale a dire, nell’accezione gestaltica, il bisogno di cui è in corso il processo di soddisfazione.

La paura di non poter soddisfare il bisogno “in figura” blocca il processo nella fase di ECCITAZIONE, perché se abbiamo paura di non riuscire a soddisfare tale bisogno (bisogno di cui ci siamo resi conto nella nostra fase di CONSAPEVOLEZZA, del relativo processo di soddisfazione), che ce ne facciamo dell’energia utile a sostenere l’AZIONE che porterà al CONTATTO che permetterà la SODDISFAZIONE di tale bisogno?

Allora l’eccitazione viene bloccata dalla paura.

Come?

Innanzitutto bloccando il respiro, poi irrigidendoci e, magari, mettendoci a tremare e disorientandoci.

Signore e Signori ecco a Voi l’ANSIA!

L’ansia allora, come ci ha insegnato la Gestalt, altro non è che energia bloccata e compressa ovvero energia la cui richiesta fisiologica di crescere e d’essere accumulata, per poter poi essere usata, viene respinta, soppressa.

L’interruzione avviene nella fase di insorgenza e di accumulo d’energia.

Solo permettendo la ripresa di questa insorgenza ed accumulo energetico, solo permettendo a questa energia di fluire ed essere usata/consumata, abbasseremo i nostri livelli d’ansia, fino ad azzerarli.

Quindi gli stati d’ansia insorgono e si sviluppano in collegamento con i nostri stati di eccitazione e corrispondono al nostro bloccarli.

Certo non c’è solo la paura ad agire come istanza di interruzione (ad esempio l’introietto normativo che non vada bene eccitarsi può fungere da meccanismo di interruzione dell’eccitazione, procurando l’insorgere di stati più o meno ansiosi), ma la paura, quando non è causa principale del blocco dell’eccitazione, la correla sempre (magari anche solo nella forma più tenue di preoccupazione o più ambigua di senso di colpa).

Ogni rimedio efficace dell’ansia ha come comune denominatore il suo essere capace di ri-trasformarla in energia, permettendole di accumularsi, di fluire (per questo il pronto soccorso più efficace, per l’ansia, è quello di respirare!) e di essere consumata, meglio se per azioni funzionali ed adeguate alla soddisfazione del bisogno in figura.

Fa bene respirare, quindi, innanzitutto, e poi fa bene passare all’azione.

Non per altro il fare compulsivo è un rimedio nevrotico dell’ansia ed il fare, funzionalmente adeguato alla soddisfazione del bisogno in figura, è un rimedio sano.

Ogni volta che temiamo di non poter soddisfare un bisogno, alias ogni volta che abbiamo paura di non riuscire ad ottenere/avere un qualcosa cui teniamo/tendiamo, ogni volta che vediamo a rischio di buona riuscita l’accadimento atteso, l’ansia può impossessarsi di noi.

Da qui dedurre che, escludendo casi qualificabili come patologici, ogni qualvolta che siamo in preda all’ansia vuol dire che ci troviamo al cospetto di un qualcosa per noi di particolare importanza, mi sembra una logica considerazione.

Se siamo in ansia è perché ci troviamo ad affrontare un bisogno la cui soddisfazione è per noi importante.

Può esserci utile, quindi, assumere l’ansia come un indicatore di valore dell’importanza del bisogno alla cui soddisfazione tendiamo.

Questo ci aiuterà ad attivarci e muoverci verso quelle direzioni che più ci permetteranno di trasformarla in energia, aumentando le probabilità di buoni sviluppi.

Ma è fondamentale il riuscire a vedere l’ansia come il risultato di ciò che noi facciamo per bloccare lo sviluppo di energia che fisiologicamente e funzionalmente il nostro organismo ha attivato.

Mi si potrà obiettare che, spesso, l’ansia sia direttamente collegata alla paura; anche ad una paura che ci assale per accadimenti che non riguardano il nostro essere alle prese col processo di soddisfazione di un qualche nostro bisogno.

Facciamo un esempio:

  • mia figlia sta facendo tardi; avrebbe dovuto essere a casa ad una certa ora, ma è in forte ritardo e non riesco ad avere sue notizie; comincio a preoccuparmi, a temere gli accadimenti più disastrosi e l’ansia mi assale.

Cosa c’entra l’eccitazione?!

La difficoltà a rispondere a questa domanda è “semplicemente” corrispondente al mio non considerare quanto la paura che a mia figlia possa essere accaduto qualcosa di brutto sia collegata ad un mio specifico, importantissimo, bisogno: quello di vederla tornare a casa sana e salva, felice e contenta.

Si può affermare che questo non sia un mio bisogno? Del piacere, del senso di sicurezza e di benessere che il sapere mia figlia in buona salute, sana e salva, immancabilmente mi procura?

Il fatto è che quando insorge un bisogno (e la preoccupazione/paura che sia successo qualcosa di brutto a mia figlia innesca il bisogno di rassicurarmi del contrario, beneficiando della soddisfazione che questo mi procurerà), fisiologicamente, si attiva un relativo processo di soddisfazione, che immancabilmente percorre gli step sopra descritti, producendo benessere (o almeno contenendo il più possibile le legittime condizioni di malessere) solo se NON ne blocchiamo gli sviluppi e/o non ne esaltiamo/eccitiamo parossisticamente contenuti che poi non riusciamo a contenere.

Quindi la paura che sia successo o possa succedere qualcosa di brutto a mia figlia rappresenta per me un deficit emotivo che attiva il bisogno di ripianarlo, in qualche modo.

“Ripianare” tale deficit emotivo vuol dire soddisfare il mio bisogno di vedere mia figlia sana e salva.

Questo mi catapulta all’interno del processo di soddisfazione di un bisogno la cui relativa fase di eccitazione, cercherò di tenere sotto controllo, bloccandola, attivando ed amplificando i miei stati d’ansia, in forza della paura che sto provando (di non poter far niente di risolutivo/positivo?).

Farò fatica a riconoscere ed accettare la mia eccitazione perché il mio livello di consapevolezza non riuscirà ad inquadrarla in altro modo che non sia quello di vederla come un naturale stato di agitazione ansiosa per la paura/spavento che sto vivendo (in realtà, la mia agitazione altro non è che il disfunzionale utilizzo/gestione di un’energia che sto inutilmente accumulando).

E così mi ritroverò all’interno di quel triangolo vizioso di ECCITAZIONE (che scaturisce dal mio bisogno d’energia necessaria a mettere in atto quanto serve per soddisfare il mio bisogno), di PAURA (di non riuscirò a soddisfare il mio bisogno), di conseguente ANSIA, che rilancia il circuito triangolare, vizioso, nel quale mi ritrovo.

Ogni rimedio all’ansia è, quindi, connotato dalla sua capacità di trasformarla in energia e permetterne/favorirne il consumo.

Certo, il nostro livello di consapevolezza, relativamente allo stato dei processi di soddisfazione dei bisogni in cui siamo attivi, e delle relative adeguate funzionalità, può produrre regolazioni più o meno sane dell’avanzamento dei processi stessi; magari, ad esempio, permettendoci di “sospendere” (aspettando tempi e condizioni migliori o andandole a cercare), l’avvio e/o l’incremento di uno stato d’eccitazione, invece di contenerlo/bloccarlo, favorendo il crescere di stati ansiosi difficilmente trasformabili, poi, in energia.

L’ansia può quindi essere trasformata in energia o, alla bisogna, può essere prevenuta da buoni stati di consapevolezza che, rendendoci chiara l’inutilità dell’entrata in campo di una certa quantità d’energia, ci mettono in condizione di NON attivare, fisiologicamente, alcuna richiesta in tal senso.

Insomma: niente energia, niente soppressione d’energia, niente ansia, niente necessità di trasformarla in energia, trovando buoni modi di consumarla.

Chiaramente, solo quando l’attivazione di energia non è funzionale al sano progredire del processo di soddisfazione di un bisogno.

La nostra formazione IN Counseling è, innanzitutto, una lavoro esperienziale volto allo sviluppo dei nostri stati di consapevolezza.

Questo migliora la nostra capacità di sostenere adeguatamente i processi di soddisfazione dei nostri bisogni e di aiutare i nostri clienti a fare altrettanto.

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