Il giudizio e il pre-giudizio (parte seconda): gli effetti.

Nel precedente articolo sul giudizio (Giudizio e pre-giudizio – parte prima), avevo accennato a come si manifesta un atteggiamento di pre-giudizio.

In questo articolo provo a descrivere quando, in quali occasioni, si può manifestare il pre-giudizio.

Poiché ritengo che se siamo disposti a rivedere in maniera critica il nostro operato, l’esperienza personale sia una delle migliori fonti di insegnamento, questo articolo prende spunto da un episodio personale.

Un atteggiamento di pre-giudizio si può manifestare sia nei confronti dell’oggetto di una richiesta, sia nei nostri stessi confronti, sia nei confronti della persona con la quale stiamo interloquendo. Può emergere, in maniera particolare, quando il compito che ci troviamo ad affrontare, in qualche modo, temiamo che possa mettere in discussione la nostra immagine idealizzata o quella del mondo (sempre idealizzato) di cui facciamo parte.

Tanto più questa immagine è rigida, tanta più la paura di mandare in frantumi il nostro mondo, o la nostra idea del mondo, è grande!

Quanto più questa nostra paura è grande tanto più la possibilità di immaginare e prevedere risposte diverse dalle solite sarà ridotta o addirittura rifiutata!

Spesso leggo l’oroscopo di Rob Brezsny sul periodico “L’Internazionale”, che trovo particolarmente poetico. Molte volte, nelle sue previsioni zodiacali, vi trovo qualche indicazione che interpreto come un invito ad osservare il mondo, ed i fatti che vi avvengono e che mi accadono, da una diversa angolazione. Un’esortazione a rivedere qualcosa che davo per scontato.

Qualche tempo fa sono stato colpito da una frase con cui assegnava ai suoi lettori un compito per la settimana: “Almeno il 30 per cento di quello che sappiamo è in gran parte sbagliato. Io ho il coraggio di ammetterlo. E tu?

Quando leggo o vedo o sento (sia nel senso uditivo, sia in senso emozionale) qualcosa che mi colpisce particolarmente, cerco di non pensare al perché mi ha colpito, ma provo a lasciarmi penetrare dalle sensazioni che scaturiscono.

La frase è lì, presente, quasi come se avesse una sua fisicità. Io la osservo, l’ascolto, lascio che sia lei a lavorare dentro di me, lasciandole il tempo per cercare e trovare un varco necessario a permettermi, in seguito, di aprirmi ad un nuovo punto di vista; metto a sua disposizione lo spazio di cui dispongo, fisico, mentale, emozionale, spirituale. E qualcosa accade.

Può accadere, ad esempio, che alcune delle mie azioni quotidiane, o qualche mio comportamento abituale, o un pensiero al quale sono affezionato, o qualcosa di me o di mio in cui credo, mi appaia sotto un’altra luce, quasi come una rivelazione.

Qualche sera fa dovevo preparare una cena per 8 persone. Tra i miei conoscenti ed amici ho la fama di uno che in cucina se la cava bene. Ed io condivido questa opinione. Anche quando preparo un piatto per la prima volta mi basta leggere la ricetta e, voilà!

Ma quella sera non è andata così. Il pollo si stava bruciando e se non fosse intervenuta in extremis la mia compagna sarebbe stato un vero flop. Beh, so cucinare, ma un incidente può sempre accadere!

Questo incidente aveva fatto arrabbiare la mia compagna e sulle prime non mi spiegavo la sua arrabbiatura, perché la cena, proprio grazie al suo intervento, aveva riscosso successo, nessuno si era reso conto dell’inconveniente.

Cos’è che l’aveva fatta arrabbiare?

Certamente l’incidente si era verificato perché non avevo tenuto sufficientemente conto delle caratteristiche di alcuni prodotti che utilizzavo per la prima volta, ma anche, forse soprattutto, perché non avevo seguito (sarebbe meglio dire “ascoltato”) nessuno dei suggerimenti che lei la sera precedente mi aveva dato!

Che cosa ho imparato quella sera?

Che so cucinare bene alcune cose e meno o per niente altre; che non sempre mi basta leggere una ricetta per sapere preparare un piatto con successo; che la capacità di fare qualcosa va sempre e comunque curata se la si vuole continuare a fare bene, ed io non cucinavo da parecchio tempo; che se non voglio fare arrabbiare la mia compagna non devo dare per scontato che le cose che mi dice già le so o non mi sono utili!

Sono quindi ritornato alla domanda di Rob Brezsny e mi sono dato una risposta: riconosco che una parte delle cose che so sono in parte sbagliate!

Nell’episodio che ho riportato, pur nella sua semplicità, si possono evincere due cose che ho dato per scontato e che si sono rilevate in parte sbagliate.

Entrambe sono importanti.

La prima è che ogni capacità, così come quella del sapere cucinare, se non viene curata perde la sua efficacia.

La seconda, ancora più pregnante per questo contesto, è che è vero che sono un counselor e che fa parte del mio bagaglio di saperi la capacità di ascolto, ma è altrettanto vero che sapere ascoltare non è una capacità acquisita una volta per tutte.

L’ascolto richiede  un esercizio ed una pratica continua dove niente è dato per scontato. Ogni volta che insorge in maniera prepotente, come ho scritto nel mio precedente articolo, una frase del tipo “ma si, questo già lo so!” quello che non sto facendo è ascoltare!

In questo caso, non solo non ho ascoltato i consigli della mia compagna, ma quello che veramente conta e che non ho fatto, per riprendere il tema del Giudizio, è stato ascoltare l’effetto dei suoi consigli su di me, sull’ idea-immagine che ho di me stesso.

Accettare i suoi consigli, per me, significava non avere fiducia nelle mie capacità, ed io che mi identificavo perfettamente con l’immagine dell’uomo che sa cucinare, non volevo accettare questi suggerimenti.

Il mio “ma si, questo  già lo so!” non era altro che una chiusura: certamente nei confronti della mia compagna, ma prima ancora nei confronti dei miei timori (è tanto tempo che non cucino, poche volte ho cucinato per questo numero di persone, e se non viene bene che figura ci faccio, ecc.). Così, ho chiuso le porte ai suggerimenti e ai timori, ma chiudendo la porta non ho potuto (voluto!) vedere (ascoltare!) cosa c’era dall’altra parte!

Chiudo con un’avvertenza: questo episodio riguarda me dove io vi ho visto una mia forma di pre-giudizio e non ha la pretesa di essere un insegnamento per altri.

Ma, se tu che leggi queste parole, puoi trovarci qualcosa che potrebbe riguardarti, allora ti invito a fare i tuoi personali e particolari collegamenti, perché, condivido ciò che ha detto  Alexander Dumas figlio: “Tutte le generalizzazioni sono pericolose, persino questa”.

Ascoltate gente, ascoltate …

Paolo Schifano.

P.S. : lascia un tuo commento, sarà per noi un contributo di crescita.

8 Comments

  1. angelo says:

    Grazie Paolo,
    mentre ti leggo mi lascio andare al pianto e sono veramente dispiaciuto. Rivivo episodi del passato e li rielaboro.
    Il mio interlocutore non ha detto nulla o io non ho ascoltato?
    Il mio pensiero predilige la prima risposta il mio pianto la seconda.
    Se ascolto il pensiero “l’altro” mi è nemico se ascolto il mio sentimento sono più aperto, disponibile e libero.
    Angelo

  2. Caro Paolo, leggo e rifletto. Non parto, a differenza di te, dalla mia esperienza personale, ma qualcosa sul pre-giudizio, mi fa piacere dirla (ne abbiamo già parlato a volte), non ho nessuna pretesa ma mi sembra che alcuni presupposti della teoria della conoscenza sia bene ricordarli.
    Parto da Gadamer e resto alla sua interpretazione del concetto heiddegeriano di esperienza. In questo contesto il pre-giudizio è un requisito essenziale per la conoscenza esperienziale. Si incontra l’altro (persona, cosa, evento) a partire dal luogo in cui si trova l’essere (a partire quindi dalla sua base di conoscenze ed esperienze). Si dice a pagina 317 di “Verità e metodo” ( H.G. Gadamer, Bompiani, 1983) “Sono i pregiudizi di cui non siamo consapevoli quelli che ci rendono sordi…”. In ogni esperienza di comprensione il pregiudizio ha un carattere costitutivo (è cioè il momento costitutivo della possibilità di conoscenza di un individuo). Sapere questo non vuol dire affidarci quindi passivamente a ciò che, in modo pregiudiziale già si sa, ma è importante tenerne conto.
    Non sono un filosofo e quindi scusate il linguaggio pressapochista.
    Elena

    • domenico says:

      Ciao Elena. Ciao Paolo. Anch’io non sono un filosofo e, per di più, non mi piace filosofeggiare. Quello che mi sembra di poter prendere e condividere di quanto scrivete è il fatto che è il pre-giudizio del quale non siamo consapevoli, che non agiamo, ma che “ci agisce”, il fattore critico che produce malessere, per noi, per gli altri, per l’ambiente! Bacioni.
      Domenico.

    • Cara Elena, grazie del feed back.
      Le mie conoscenze filosofiche non mi consentono di commentare sullo stesso piano, ma per quello che riesco a capire condivido la frase che hai usato come spunto. “Sono i pregiudizi di cui non siamo consapevoli quelli che ci rendono sordi…”, io propongo/suggerisco di curarci (nel senso di prendersi cura) dalla sordità!
      Un abbraccio

  3. PUCCIO says:

    Ho letto con attenzione quello che hai scritto e mi sembra di capire che alla fine l’importante e’ assumere piena consapevolezza di ogni proprio pregiudizio per non essere “sordi”?
    Ciao Paolo

    • Caro Puccio,
      mi fa piacere vedere che sei uno dei più assidui lettori del blog e questo, se non altro, mitiga il dispiacere per la distanza geografica che ci separa. Grazie per questo. Nel lavoro di counseling cerco di fare molta attenzione a non definire a priori ciò che è buono e ciò che non è buono, perchè per ognuno di noi questo può essere molto diverso. Credo che affinchè uno possa arrivare a distinguere ciò che è buono da ciò che non è buono “per se stesso” e sulla base di questo decidere come relazionarsi con un altro, debba avere consapevolezza di ciò che fa e di come lo fa. E consapevolezza delle emozioni che prova quando fa e come fa una cosa: a quel punto può sentirsi pienamente responsabile delle sue azioni, non può celarsi dietro frasi del tipo “non l’ho fatto apposta”, “non volevo”, “ma tu avevi detto che” … Ad es., se faccio male a qualcuno, c’è differenza tra fargli male e non rendersene conto (per cui non sentiamo alcuna responsabilità) e decidere di voler fare male a qualcuno perchè lo si vuole!
      Ciao

  4. giovanni says:

    Ho letto il tuo articolo telematico
    morbido sincero
    fresco come una mozzarella
    trasparente
    casalingo
    buddista
    dalle limpide intenzioni
    spontaneo
    arricchito da una vivace
    genuina ingenuità
    Semplice
    come una favola di Esopo
    Saper ascoltare
    osservare
    testimoniare
    avere
    consapevolezza
    presenza
    Consigli veri
    da non dimenticare
    Non si conquista
    non si possiede nulla
    per sempre
    Occhi aperti
    bisogna mantenere
    sul continuo flusso
    dei nostri pensieri
    per scorgere
    l’illusione della certezza
    Riconoscere
    la pigrizia presuntuosa
    che rende infallibili
    Ricordarsi
    che siamo il risultato
    di una infinità di relazioni
    senza un mio ed un tuo
    come confini invalicabili
    La mia gioia
    e la tua
    vostra
    felicità
    Ne vinti ne vincitori
    L’ intesa
    robusta convinta
    la contrapposizione complementare
    unisce
    da energia
    soluzioni
    annulla l’ incognita
    Molte volte noi stessi
    siamo il problema
    rigidi
    nascosti
    nel nostro splendore
    immensi
    lontani
    infallibili
    ma Paolo ci dice
    se tu sai ascoltare….

  5. Ciao Paolo,

    ho letto le tue considerazioni su “giudizio e pregiudizio”.
    Per una volta voglio che la prima risposta (e posso giá dire che nn sarà l’unica) nn sia quella esclusivamente razionale.
    Voglio dire cosa accade quando lascio venire a galla il giudizio immediato, quando lo guardo come qualcosa che é lì, davanti a me e ne prendo coscienza.
    Il tempo si dilata: è un tempo diverso. E dopo sento con sorpresa una sensazione di libertà.
    Tempo e libertà: ecco cosa trovo quando l’Io censore ammutolisce, confinato in un cantuccio, rannicchiato e quasi al buio. Ho una nuova forma: nuova perché nn l’ho mai guardata prima, e danza, finalmente.
    A volte i piedi nudi sono feriti; ogni movimento duole al cuore, ma ormai ci sono le ali, e quella forma nn é più desolatamente.
    É: inesorabilmente, e respira, e muta nel vento.
    Ecco le parole che liberano le mie sensazioni e le mettono al mondo.
    //
    Eppure ho sempre pensato che giudicare, nel senso di porsi di fronte alle cose, agli atteggiamenti, alla luce di valori, fosse fondamentale.
    Ancora lo é per me, nella misura in cui si coagula, attraverso il giudizio, l’autocoscienza e la responsabilità di fronte a sé stessi e al mondo.
    Per me giudicare vuol dire assumersi il compito di dare un senso alla vita, anziché essere indifferenti e lasciarsi vivere.
    In questo senso nn intendo rinunciare al giudizio.
    Ma per tutto il resto sì:
    quando il giudizio ci tiene prigionieri, noi insieme agli altri;
    quando il giudizio è il nascondiglio della paura (ecco la torre che difende/blocca);
    quando crea muri e rifiuto, fissitá scheletriche invece di metamorfosi vitali,
    allora voglio rinunciare al giudizio.
    Eppure, senza i giudizi dell’Io censore, nn averei trovato l’ostacolo, il punto d’appoggio con cui crescere.
    Nella forma di prima, il giudizio era necessario, fondamentale.
    Ora resta un involucro: vedo attraverso, come attraverso la pelle del serpente, la forma di prima; elementare quanto tenace.
    Ormai fragile di fronte alla forma nuova dell’intelletto e dell’emozione.

    Anna

    \ Un grazie
    per ogni muro che avete fatto tremare
    per ogni presenza, sentinelle nel buio,
    negli incontri della Formazione X

    Grazie Paolo \