Pagine di diario. Frammenti di formazione IN Counseling.

 saltaDiamo il via con questo articolo alla pubblicazione di una selezione di pagine di diario degli allievi della Scuola IN Counseling di Torino.

Ci sembra un buon modo di far parlare la nostra scuola e farla conoscere.

Un modo semplice, diretto e generoso, da parte dei nostri allievi, di condividere ciò che stanno imparando e scoprendo, sul cosa fare e come farlo, per migliorarsi e migliorare il mondo in cui stiamo vivendo.

Dal diario di Edoardo Chianura:

  Bene, eccomi qui ad iniziare il mio diario di bordo relativo alla mia formazione in counseling, dopo quasi tre mesi dall’inizio del mio corso/percorso per diventare Counselor.

Finora è stato un immergersi in questa nuova esperienza attraverso la lettura dei cosiddetti “testi sacri della Gestalt”, attraverso le esperienze in gruppo durante la Formazione “X”, attraverso gli Esperimenti di Comunicazione Interpersonale alla biblioteca di Moncalieri e  quelli sulla genitorialità, nonché attraverso tutti i momenti di scuola vera e propria, nei gruppi di studio.

Un immergersi in esperienze che mi coinvolgono momento dopo momento, scoprendo un modo di stare con me stesso e con gli altri che finora percepivo in superficie, che mai avevo avuto la forza di realizzare e che ora riverso, in particolare, in due aspetti fondamentali della mia vita: il voler essere counselor, l’essere persona.

Domenico Nigro (il nostro direttore didattico) insiste spesso con una domanda: “ A cosa ci serve?”

Forse userò questa domanda in modo improprio, ma voglio riportarla dentro questo mio percorso di formazione in counseling: “Cosa mi serve voler diventare counselor?”

In genere, tempo fa, avrei rigirato la mia freccia verso il fuori, verso gli altri, chiedendomi “Cosa posso fare per gli altri?”, che non penso sia una domanda sbagliata di per se, ma indubbiamente un modo comodo per non prendere in considerazione l’aspetto più importante per me stesso e cioè cosa gratifica in me, quali bisogni soddisfa lo svolgere questa professione?

E’ una domanda che rimarrà aperta in ogni momento di riflessione che riguarderà questo diario perché avrà bisogno di più “masticazioni adeguate” prima di riuscire ad avere una risposta soddisfacente e poi chissà, magari rimarrà sempre aperta per essere approfondita ogni volta e arricchita.

Ieri durante il week end di formazione è stato molto interessante, tanto per iniziare a stare sulla domanda “Cosa mi serve voler diventare counselor?”, tutta quella parte che abbiamo affrontato sugli opposti “dare aiuto e ricevere aiuto”.

Quasi tutti abbiamo riconosciuto che per professione e per modalità del nostro essere siamo spesso portati a stare sull’estremo del “dare”. Un “dare” che io ho riconosciuto come introietto di quella parte bambino che bene rispondeva diligentemente alle richieste di mia madre di essere un bravo bambino, sempre disponibile per gli altri e blablabla….

Un “dare” che provo a definire “indifferenziato” perché perdendo il mio piacere fatto di gratuità e di benessere per me, come dicevamo ieri, risponde perlopiù ad un senso del “dovere essere, del dover fare” anche quando avresti voglia di dire di no, anche quando provi fastidio a dover fare quella cosa lì o provi fastidio per quella persona che te lo chiede.

Eppure finisci quasi sempre per dire di sì e quando dici no, perché proprio sei impossibilitato, “vai con i sensi di colpa” (Si lo so, Domenico a questo punto mi richiamerebbe all’utilizzo della prima persona personale, ma avrò ancora bisogno di tempo, per imparare a farlo, a parlare in prima persona invece che ad usare forme di narrazione impersonali, che generalizzano e mi deresponsabilizzano!).

Tempo fa, ingabbiato in questo “introietto dell’essere un bravo bambino”, la mia (caro Domenico, vedi che imparo in fretta!) prima reazione era rabbia e frustrazione verso la cosa in sé (che diventava fardello opprimente) o verso la persona che mi chiedeva aiuto; ora rivolgo il tutto su me stesso per quell’incapacità di essere sincero su ciò che veramente sento, voglio e preferisco fare, rispetto a ciò che sento più importante per me in quel momento. Ci lavorerò!

Un altro momento illuminante, durante la parte di lavoro svolta sul mio sogno con Domenico, è stato quell’insight, quella chiarezza che mi si è parata innanzi, di colpo, sulla mia ansia da prestazione rispetto al presente “diario di bordo”.

 È grazie a quella “illuminazione” che stamattina ho potuto aprire il mio pc e partire con quel che sto scrivendo. Un fiume in piena che ha trovato la sua strada sbloccando la diga/impasse del mio “perfezionismo” latente.

In queste due giornate del mio primo week end di formazione IN Counseling, molto altro è stato illuminante e importante.

Porto il tutto come “oggetti” che aggiungo al mio bagaglio di futuro counselor e tra questi il riepilogo sulle interruzioni di contatto, il lavoro sulla mancanza di mia figlia e quindi sul saper stare ad ascoltare queste parti di me, il riuscire a comunicarle e a trovare soluzioni adeguate (già solo il fatto di essere riuscito a dire a mia figlia per telefono “mi manchi” è stato liberatorio, emozionante – anche adesso che lo scrivo l’emozione è forte) e poi tutto il lavoro su l’indecisione/prepotenza, l’aggressività e la violenza di tipo passivo (che in genere percepiamo meno di quella attiva, più appariscenze e immediata nelle sue manifestazioni).

A tutto ciò aggiungo il clima caldo e pieno di sincera energia che ognuno di noi ha immesso in questo week end e per me la voglia di “rinforcare la bicicletta alla prochaine fois”.

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