Storia del Counseling

Va per la maggiore l’idea che il Counseling sia un’invenzione degli psicologi.

NON è VERO.

Il Counseling è nato nel mondo della scuola, ad opera di insegnanti, che facevano Counseling ai propri allievi, valorizzando la loro cultura pedagogica e filosofica.

Che il Counseling sia una “derivata” delle attività professionali di psicologi e psicoterapeuti é un inveterato falso storico che noi Counselor abbiamo il dovere di denunciare, risolutamente, così come abbiamo il dovere di marcare e rendere chiari i confini che ci distinguono da chi, come molti psicologi e psicoterapeuti, ci fa la guerra accusandoci di abusare della propria professione.

Nel “Manuale di Istruzione & Formazione IN Counseling” [di cui puoi avere una presentazione cliccando qui], dedico un intero capitolo alla “Storia del Counseling”, che qui sotto riporto interamente (lo trovi continuando a leggere)

Se lo leggerai, comincerai a farti un’idea più chiara dei rapporti tra il Counseling e la Psicologia/Psicoterapia.

Se poi acquisterai e leggerai l’intero Manuale, Ti chiarirai le idee anche sul rapporto tra il Counseling, l’intero arco di “Scienze Umane” (Filosofia, Pedagogia, Antropologia, Sociologia, innanzitutto), che gli fa da sfondo, e le contaminazioni artistiche di cui si nutre.

Ho pensato a questo manuale per fare del bene al Counseling e a tutti i Counselor italiani, orgogliosi della propria identità professionale.

Con questo manuale ho voluto dare corpo a, e mettere in mostra, questa forma d’aiuto professionale, che chiamiamo “Counseling”, presentando un quadro completo del piano di studi e di conoscenze necessarie per diventare un Counselor e poter così fare Counseling, dignitosamente e con cognizione di causa.

Per questo, se mi aiuterai a diffonderlo, darai un contributo importante alla “causa” del Counseling, al suo riconoscimento pubblico e alla sua affermazione, con tutti i benefici effetti che la cosa comporterà, per tutti noi counselor e per il numero sempre maggiore di persone che potranno, così, beneficiare del nostro lavoro.

Grazie della tua attenzione e partecipazione.

Domenico Nigro, Counselor.

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Storia del Counseling.

Capitolo 2,

“Manuale di Istruzione & Formazione IN Counseling”,

Scuola IN Counseling – Lo Specchio Magico Torino.

Innanzitutto, i capi della sua esposizione:

  • La nascita del counseling
  • Gli sviluppi del counseling e la contaminazione psicoterapeutica
  • Le abilità di counseling
  • Psicologia e Psicoterapia, intrecci e diversità
  • La nascita del counseling in Italia
  • Il Counseling come anima antesignana della moderna Psicoterapia
  • Puntualizzazioni

Intorno al Counseling in Italia, a differenza del resto del mondo, ruotano molte polemiche, soprattutto perché una fazione del mondo degli psicologi reclama il Counseling come un’attività propria ed esclusiva e fa la guerra a noi Counselor, che, proprio perché non siamo psicologi e ci muoviamo con intenzioni e modi diversi dai loro, facciamo Counseling con successo e soddisfazione.

Chi fa Counseling, a seguito di una specifica Formazione IN Counseling, comprende perfettamente la differenza tra essere un Counselor e fare Counseling e essere uno Psicologo e fare quello che fanno gli psicologi.

Proprio da questa riflessione prendo lo slancio, introducendo, con una domanda, la presente disamina sulla storia del Counseling:

Cos’è il Counseling per noi counselor italiani?

Innanzitutto una magnifica esperienza di crescita e di arricchimento personale.

Grazie alla nostra Formazione IN Counseling, noi counselor:

  • Impariamo ad ascoltare e quanto sia prezioso;
  • Lavoriamo sulla nostra empatia, per valorizzarne e specializzarne le funzioni;
  • Impariamo a osservare senza giudicare;
  • Miglioriamo le nostre capacità di comunicazione interpersonale;
  • Apprendiamo/perfezioniamo una quantità e qualità importante di conoscenze sull’esistenza umana, nei suoi versanti storici, antropologici, filosofici, sociologici e psicologici;
  • Facciamo esperienza delle valenze pedagogiche, formative, educative del Counseling e di quanto queste possano funzionare nelle più svariate situazioni sociali;
  • Diamo al Counseling varie vesti professionali.

Tutto questo lo mettiamo in pratica nella nostra professione, arrivando a organizzarci in associazioni nazionali, sempre più capaci di promuovere il counseling e di valorizzarne l’identità.

Il presente capitolo sulla storia del Counseling, come questo stesso intero manuale, è dedicato, anche, alla dimostrazione di come e perché, nonostante una certa parentela, il Counseling sia cosa ben diversa dalla Psicologia.

La nascita del counseling

 Il Counseling nasce come particolare e specifica attività professionale negli Stati Uniti, nei primi anni del ‘900, su iniziativa di alcuni insegnanti di scuola media superiore, che, in forza del loro continuo contatto professionale con i giovani, si rendono conto delle difficoltà che questi incontrano nel compiere e nel sostenere le proprie scelte, sia in materia di studi, sia nel mondo del lavoro.

Questi insegnanti decidono di offrire ai propri studenti un servizio di orientamento e guida che li aiuti a muoversi con migliori risultati nelle proprie scelte di studio e di occupazione.

L’ispirazione e la prassi di tale “servizio aggiuntivo” è di chiara matrice pedagogica e filosofica:

  • Dalla Filosofia mutua lo spirito maieutico dell’indagine introspettiva, volta a estrarre quella coscienza di sé e quella conoscenza della vita e del mondo funzionale al buon vivere;
  • Dalla Pedagogia deriva l’intenzione di valorizzare potenzialità, risorse e talenti dei soggetti cui si presta aiuto.

Tale “servizio scolastico aggiuntivo” è chiamato, dai suoi ideatori-fondatori, “Vocational Counseling” e “Guidance Counseling”[1].

I primi counselor sono quindi una sorta di “consiglieri scolastici”, denominazione che possiamo accettare in mancanza di un corrispettivo termine italiano e, paradossalmente, a condizione di tenere assolutamente conto del fatto che il fare Counseling non si qualifica nel dare consigli, anzi: propri “NON CONSISTE NEL DARE CONSIGLI”.

Il più famoso “Consigliere Scolastico” della storia è Frank Parsons, che nel 1909 scrive “Choosing a Vocation” (“Scegliere una vocazione”), ivi presentando le linee guida del Counseling professionale, riguardanti:

  1. Il lavoro sulla motivazione: la valorizzazione cioè della spinta “vocazionale” dei giovani (alias i primi clienti dei primi counselor), vista come istanza mossa dalle loro migliori capacità e dai loro più forti entusiasmi; F. Parsons, anticipa di un ventennio la visione che proporrà la scuola della Psicologia Umanistica, individuando nella valorizzazione della propria “vocazione” una delle questioni più rilevanti per i giovani e per le persone in generale, relativamente alla possibilità di aver successo nel lavoro e nella vita.
  2. L’importanza data al “processo” necessario per arrivare alla definizione e attuazione della miglior scelta possibile per il bene di chi la compie: conoscenza di sé, auto-indagine, auto-rivelazione, autoapprendimento, sviluppo delle capacità di adattamento.
  3. Il ruolo del Counselor, di facilitatore del processo di cui sopra.
  4. La formazione di un Counselor, che avviene attraverso specifiche lezioni, lavori di ricerca, pratiche di laboratorio, analisi dei risultati ottenuti, conferenze, discussioni e prove speciali soggette alla critica, dei trainer e dei partecipanti ai gruppi di lavoro, circa le indicazioni ritenute appropriate per la soluzione del problema specifico presentato nei casi in esame.
  5. I requisiti minimi per accedere al corso di formazione professionale in counseling:
  • Un diploma di scuola superiore o equivalente;
  • Almeno due anni d’esperienza lavorativa di insegnante, di imprenditore o di addetto in una qualche funzione sociale;
  • Un’età minima di venticinque anni e/o un buon grado di maturità personale.

6. Le qualità umane del Counselor:

  • assennatezza, carattere eccellente e personalità che inviti al rispetto e alla fiducia, buona cultura generale;
  • buone capacità d’apprendimento, buone maniere e cortesia;
  • conoscenza pratica dei principi fondamentali e metodi della psicologia moderna;
  • esperienza personale che implichi sufficiente contatto umano e una buona conoscenza delle diverse tipologie e fasi della natura umana;
  • capacità di comprensione delle motivazioni sottostanti agli interessi e alle ambizioni che governano la vita degli uomini;
  • essere in grado di riconoscere i segnali che qualificano il carattere delle persone;
  • essere capace di trattare con i giovani in modo empatico, sincero, curioso, schietto, collaborativo e attraente;
  • avere un buona attitudine “allo stare in, e all’essere di, servizio”, spirito di partecipazione ed imparzialità;
  • tatto, comprensione intellettuale e una buona dose di creatività;

7. I principi su cui basare la relazione counselor-cliente:

  • non possono essere istituzioni e/o parenti a scegliere per i giovani; sono loro (i clienti) a scegliere la propria vocazione professionale; il counselor li accompagna nel percorso di consapevolezza che li porterà a riconoscere la propria “vocazione” e a compiere le relative scelte di studio e di lavoro;
  • è la persona (il cliente), con la sua stessa osservazione, autoanalisi ed esperienza, a far luce sulle sue questioni;
  • bisogna rispettare le attitudini, abilità, ambizioni, risorse e limiti di ogni persona, creando le condizioni per cui sia la persona stessa a riconoscerle e a decidere cosa farsene.

Gli sviluppi del counseling e la contaminazione psicoterapeutica

Negli Stati Uniti, nel corso della prima metà del ‘900, il Counseling, si afferma sempre più come specifica attività professionale, istituzionalizzandosi, anche con leggi ad hoc, e beneficiando di specifici fondi pubblici[2].

La sfera d’azione del Counseling professionale, dall’orientamento scolastico/lavorativo, si allarga ad altre problematiche sociali, trovando applicazioni per:

  • il collocamento di personale militare in occasione della prima guerra mondiale,
  • il reinserimento sociale dei reduci di guerra
  • l’adattamento sociale (esempio: aiutare le persone a fare i conti con gli effetti della crisi del 1929, quella della “Grande Depressione”)
  • la gestione di difficoltà familiari e di crisi coniugali

Il Counseling si afferma per il suo riconosciuto valore di servizio professionale, di tipo relazionale, efficace nell’aiutare chi fa fatica ad affrontare e superare difficoltà di varia natura, che non originino da qualche forma di malattia o disturbo mentale, ma che, più semplicemente, riguardino la gestione di ordinarie e straordinarie problematiche collegate al vivere sociale.

In parallelo al suo affermarsi negli stati Uniti, il Counseling muove i suoi passi anche nel resto del mondo, particolarmente in quello anglosassone.

Negli Stati Uniti, l’affermazione del Counseling come funzione sociale di aiuto, centrata sulle sue particolari valenze relazionali, è accolta da un particolare indirizzo psicoterapeutico, quello della Psicologia Umanistica, che assume il modo di stare in relazione del Counseling, come chiave di volta del lavoro psicoterapeutico, inglobando i termini “counseling” e “counselor” nella rappresentazione del proprio lavoro e nella denominazione della propria identità professionale.

È questa un’appropriazione che, se nessun psicologo trasforma in accaparramento, pretendendo che nessun altro, oltre se stesso, possa fare counseling, non può che produrre cose buone, altrimenti non può che essere considerata un vero e proprio scippo del Counseling, ad opera del mondo della psicologia.

La questione verrà ripresa e meglio argomentata, ma già qui è importante precisare che, dalla fine degli anni ’30 in poi, per quello che hanno fatto alcuni psicologi umanisti americani (Carl Rogers, in primis), la storia del Counseling intreccia quella della Psicoterapia, contaminandola e facendosi contaminare, in vario modo.

Ricapitolando:

  • Il Counseling nasce in America, ai primi del ‘900, grazie ad alcuni professori di scuola media superiore, che così denominano un proprio particolare intervento di aiuto/orientamento nei confronti di quegli allievi che vivono particolari difficoltà di carattere personale, sociale, lavorativo, collegate alle proprie scelte occupazionali e di studio.
  • Il Counseling nasce da una matrice filosofica e pedagogica, dalla quale mutua l’ispirazione e la prassi di far leva sull’introspezione maieutica e sulla valorizzazione delle potenzialità e delle risorse sane dell’individuo.
  • Il Counseling è un’attività di sostegno, di tipo relazionale, che ci aiuta a scoprire cosa fare per superare le difficoltà cui la vita ci sottopone e serve ad aiutarci a farlo.
  • Per la sua efficacia, il Counseling è diventato un modello di relazione applicato anche in ambiti psicoterapeutici.

Le abilità di counseling

Quali sono le “abilità di counseling”?

Saper:

  • Accogliere amorevolmente
  • Ascoltare empaticamente
  • Osservare senza giudicare,
  • Empatizzare,
  • Confrontare criticamente, ma gentilmente
  • Comunicare efficacemente, con riguardo e rispetto della sensibilità altrui,
  • Ricorrere all’espressione Artistica,
  • Agire creativamente,
  • Saper valorizzare creativamente le proprie e le altrui potenzialità.

Tali abilità (che qui chiamiamo di counseling, ma che, evidentemente, sono innanzitutto potenzialità umane, che ogni essere umano, debitamente educato, può sviluppare e utilizzare) sono state integrate da noi counselor in un particolare, vero e proprio, “sistema operativo professionale”, che utilizziamo per aiutare i nostri clienti a meglio affrontare le difficoltà esistenziali per le quali ci chiedono aiuto.

Di molte di queste abilità di counseling, invece, alcuni psicoterapeuti si sono semplicemente appropriati, per aiutarsi, all’occorrenza, nella gestione delle loro attività terapeutiche.

Già qui emerge una prima netta differenza tra cosa sono le abilità di counseling per noi counselor e cosa sono per psicologi e psicoterapeuti: per noi sono il nostro lavoro, per loro sono uno strumento di lavoro.

Ma non tutte le abilità di counseling sono apprese e utilizzate dagli psicologi/psicoterapeuti!

In particolare non lo è l’osservazione non giudicante, che loro proprio non possono/vogliono praticare.

L’osservazione di un counselor è “non giudicante”, quella di uno psicologo/psicoterapeuta è assolutamente giudicante.

L’osservazione non giudicante è un’abilità di counseling indispensabile, per fare Counseling.

La capacità di interpretare, diagnosticare, rilevare e rivelare le cause e i perché dei comportamenti (disturbati) dei loro pazienti è, invece, alla base del lavoro di uno psicologo/psicoterapeuta.

Interpretare, diagnosticare, rilevare cause e perché, sono tutte forme di giudizio.

Per noi counselor, invece, “Viene prima il Sentire”.

A noi counselor non interessa interpretare e diagnosticare alcunché.

Per farlo, bisogna mettere in primo piano attività e interessi professionali lontanissimi dai nostri.

Per interpretare e diagnosticare, bisogna osservare in modo giudicante e per farlo si ha bisogno di stare distanti da chi si giudica (altro che “stare con” la persona che si sta aiutando, come facciamo noi counselor!).

La differenza è fondamentale! Anche se molti psicologi non la riconoscono.

Cosa glielo impedisce?

  1. Forse il fatto che, in Italia, il counseling, come modello relazionale funzionale all’aiuto esistenziale, sia stato introdotto dal mondo della psicoterapia (come vedremo meglio in seguito)?
  2. Forse l’indebita identificazione counseling-psicoterapia, che gli psicoterapeuti continuano a fomentare, facendo formazione in counseling, come se fosse psicoterapia?
  3. Forse la collusione di molti counselor italiani con tale, indebita, identificazione counseling-psicoterapia?
  4. Forse le difficoltà occupazionali di molti psicologi italiani, che, non riuscendo a trovare soddisfacenti sbocchi occupazionali (principalmente per il loro intendere la propria professione come attività sanitaria), in tutta risposta, non trovano di meglio che fare la guerra a nemici immaginari, di volta in volta, scelti tra chi svolge professioni limitrofe alla loro?

Sia quel che sia, un risultato amaro di tutto ciò è che il rapporto Psicologia-Counseling, in Italia, invece di produrre proficue collaborazioni, essendo conflittuale, produce solo danni, agli psicologi, a noi counselor e ai nostri clienti.

Confondere il Counseling con la Psicologia, non riconoscere il Counseling come una specifica attività professionale, distinta da tutte le altre, considerarlo solo una, tra le tante, declinazioni possibili della professionalità degli psicologi, è un vero e proprio misfatto, un furto contro il Counseling, vuol dire rubargli l’anima, la bellezza, il valore culturale e l’utilità sociale.

Psicologia e Psicoterapia, intrecci e diversità

Seppur intrecciate, quella della psicologia e quella della psicoterapia sono due vicende diverse, che diversamente attraversano la storia della cultura umana.

Iniziamo con il dire che la storia della psicoterapia, in senso ampio (cioè di tutto ciò che, storicamente, ha assolto le funzioni di cura dello sviluppo e del miglioramento umano, in materia di benessere, crescita, affermazione e felicità personale), origina nella filosofia classica-ellenica, prosegue con l’intera storia della filosofia fino ai nostri tempi, incrociando e scambiando saperi con tutte le “scienze” umane via via affacciatesi nella storia dell’umanità.

 “Psiche” e “Terapia” sono due funzioni indistinguibili da tutto ciò che ha a che fare con l’esistenza umana, con la sua crescita, organizzazione e sviluppo, in ogni suo versante di specie, di genere, d’identità collettiva e individuale. Vediamo i perché.

Il termine terapia deriva dal greco “therapeìa”: ciò che cura e guarisce.

Cura e guarigione sono due funzioni distinte, seppur collegate.

La guarigione sancisce la fine di uno stato di malattia e la cura ciò che la permette/facilita.

Il concetto di cura, però, non ha solo una valenza medico-sanitaria, di cura di una malattia.

Il concetto di cura riguarda:

  • La salute: tutto ciò che facciamo per migliorare la nostra salute, cioè il nostro “star bene”, anche come prevenzione dell’insorgenza di malattie e rafforzamento delle nostre difese contro le stesse;
  • Il benessere, la crescita e ogni tipo/forma di miglioramento, valgano come esempio il prendersi cura del proprio aspetto, dei propri figli, delle proprie piante;
  • L’attenzione, la difesa, il riguardo; come evidenzia, in modo esemplificativo, la seguente esortazione: “cura i tuoi affari, che è meglio!”

Il curare è indiscutibilmente una funzione che procede su più versanti.

Ci soffermiamo su due di questi:

  1. quello della cura della malattia e
  2. quella del “curare”, nel senso di prendersi cura di tutte quelle funzioni vitali sane che presiedono ai, e qualificano i, nostri stati di salute/benessere nonché quelli di crescita e sviluppo personale.

Nell’antica Grecia, il concetto di “cura” non era circoscritto all’azione volta alla guarigione di un qual si voglia stato di malattia.

Il concetto di cura era un tutt’uno con quello del “prendersi cura”.

Per gli antichi greci, ci si prendeva cura, di noi stessi e/o degli altri, ogni qual volta si faceva qualcosa in vista dello “stare bene”, del “crescere”, del “migliorare”, noi stessi e gli altri!

Cura e “therapeìa” erano un tutt’uno, volto alla guarigione, alias al benessere del corpo e dell’anima.

Certo! Il medico che curava il malato e lo guariva svolgeva un’azione terapeutica.

Ma che dire, ad esempio, del maestro/precettore/pedagogo che si prendeva cura dei propri allievi e si applicava perché potessero apprendere quei “saperi” che avrebbero migliorato la loro vita!?

Per gli antichi greci, anche questo era “therapeìa”.

Insomma, era terapeutico tutto ciò che migliorava uno stato dell’esistenza: non solo dall’essere malato all’essere sano, ma dall’essere ignorante all’essere sapiente, dall’essere meno all’essere più abile nel compiere una qual si voglia azione di utilità personale e/o sociale: leggere, scrivere, far di conto, saltare, correre, suonare, dipingere, danzare, guerreggiare, ecc. ecc.

Per gli antichi greci, era terapeutico tutto ciò che faceva star meglio e lo stare meglio era una funzione della cura a questo applicata.

Il nostro “progresso sociale”, con i collegati sviluppi di interessi corporativi ed egoistici è riuscito a restringere il concetto di terapia, “medicalizzandolo”, fino a ridurlo (dal “De Voto – Oli, Dizionario della lingua italiana) a: “Branca della medicina che tratta dei mezzi e delle modalità usati per combattere le malattie …”

Nell’antica Grecia la “Therapeìa” riguardava le persone e la cura a queste dedicata (sane o malate che fossero).

Nell’Italia odierna la Terapia riguarda la malattia, quindi solo chi è terapeuta può curare una malattia, quindi non ci prendiamo più cura delle persone, ma ci occupiamo delle loro malattie.

Ed ecco circoscritto un terribile dominio di operatività professionale, che permette solo al personale medico-sanitario di occuparsi non solo delle malattie delle persone, anche della loro salute, del loro benessere, della loro crescita e del loro miglioramento personale (mi vengono i brividi!).

Al termine “psiche”, nella tradizione classica, si associa il respiro, visto come elemento proprio della natura spirituale dell’uomo, ciò che dà corpo a una sua componente fondamentale: l’anima.

Psiche è ciò che dà respiro e anima la vita umana.

Respiro e anima abitano le emozioni, i sentimenti, gli stati mentali, che muovono i comportamenti delle persone.

Ecco perché la Psicologia, la scienza che studia la psiche, ciò che dà respiro e anima agli esseri umani, s’interessa alle loro emozioni e ai loro stati mentali: perché questi muovono il comportamento di ogni essere umano!

Su questo versante, la Psicologia rinverdisce interessi e punti di vista di chiara matrice filosofica e pedagogica, peccato però che ne mortifichi lo spirito con il suo corrispondere supinamente alle istanze positivistiche-scientiste del clima culturale, tardo ottocentesco, in cui nasce.

Accade così che la Psicologia, nonostante i suoi naturali collegamenti con la storia della Filosofia e della Pedagogia, da questa prende immediate e significative distanze, producendo, con questa stessa storia, un’importante frattura.

Interessati a ciò che muove il comportamento umano, a cosa lo determina e a come poterlo correggere, gli psicologi si rivolgono allo studio delle emozioni, dei sentimenti, degli stati mentali e dei modi di pensare del genere umano, ma lo fanno con un forte pregiudizio scientista, che guarda all’uomo come a una macchina, dotata di specifici meccanismi, che devono essere studiati e individuati.

Per questo si concentrano sui “riflessi automatici” del comportamento umano e, rilevandone le cause emotive e mentali, dello studio degli stati emotivi e mentali umani e del lavoro sugli stessi arrivano a pretendere l’esclusivo dominio (anche per questo, alcuni di loro fanno la guerra a chi, seppur con principi e metodi differenti, lavora sulla stessa materia, come noi counselor).

Fortunatamente, tra chi si dedica alla psicoterapia, una parte importante di psicologi rimane ancorata alle proprie radici filosofiche, cioè: se la Psicologia, come scienza, prende le distanze dalla propria anima filosofica, la Psicoterapia vi rimane attaccata, almeno in molti, importanti, suoi rappresentanti.

La Filosofia, ha un’etimologia che ben ne inquadra la natura.

Filosofia deriva dal greco antico φιλοσοφία e dalla sua traduzione latina di philosophía. È una parola, composta da due termini:

  1. Filo, che sta per φιλεῖν (phileîn), “amare”
  2. Sofia, che sta per σοφία (sophía), “sapienza”

La Filosofia è, dunque, l’amore per la sapienza.

Il filosofo si pone domande e riflette sulla vita, sulle sue origini e sviluppi, in particolare sulla vita e sull’esistenza umana; vuole conoscere l’uomo e tutto ciò che muove i suoi pensieri, comportamenti e sentimenti.

La Filosofia non può non avere che un milione di ricadute in tutto ciò che riguarda la cura, il curare, il prendersi cura; ogni forma di terapia e ogni attività educativa e pedagogica deve qualcosa alla Filosofia.

La Pedagogia è quel campo di applicazioni umane che, in vario modo, si dedicano allo studio e all’esercizio dell’educazione, della crescita e dello sviluppo dei singoli individui. È quindi ovvio il suo collegamento con la filosofia (in primis quella socratica), dalla quale trae mille insegnamenti e della quale rappresenta una sorta di specializzazione. I primi pedagoghi furono i precettori/istitutori della Grecia antica: quei servi cui le famiglie agiate affidavano le cure educative dei propri rampolli.

Per i loro risvolti di “cura” della crescita, dello sviluppo e del benessere umano, Filosofia e Pedagogia sono la mamma e il papà di ogni forma di Psicoterapia, almeno fino a quando la Psicoterapia non incontrerà la Psicologia ed il suo interesse per la cura, in senso medico-sanitario, dei disturbi e delle malattie della “psiche”.

Da questo incontro la Psicoterapia, in almeno una sua parte, verrà profondamente contaminata, subendo una sorta di mutazione genetica che ne trasformerà lo spirito.

La Psicologia nasce nel tardo ‘800 con una forte spinta “positivistica”.

Nasce, cioè, e si sviluppa con la pretesa di individuare correlazioni certe tra le cause e gli effetti del comportamento umano.

Come prevede il positivismo scientifico, anche la Psicologia indaga le relazioni di causa-effetto dei fenomeni oggetto della propria osservazione, riconoscendo tali relazioni sulla base della possibilità di replicarle in laboratorio e/o di riscontrarle, evidenziandole, su basi statisticamente attendibili.

La Psicologia mira a individuare le cause del comportamento umano, per poterlo governare e modificarne gli effetti.

Come scienza, la Psicologia rappresenta il paradossale tentativo, e la presunzione, di poter applicare a un soggetto animato (l’uomo, che notoriamente è dotato di una propria volontà e di un’irriducibile potenzialità di autonomia e indipendenza) le pratiche di studio, di analisi e di intervento, tipiche di quelle scienze i cui oggetti sono inanimati, quindi senza psiche.

Insomma, è interessata alla psiche (l’animo umano), cioè a soggetti animati, per questo si chiama Psicologia, ma lavora con questi come se non avessero un’anima. Sigh!

La Psicologia moderna origina e si sviluppa in un ambito medico, accademico-universitario. Di tale ambito subisce le influenze culturali e le ricadute politico-economiche. Tra le più importanti, la sua forte caratterizzazione sanitaria di scienza che studia la psiche per poterne curare le patologie, cosa che produrrà la stortura di asservire a tale funzione la Psicoterapia, obbligando, chi vuole dedicarsi professionalmente alla psicoterapia, a laurearsi preventivamente in Psicologia, come alternativa alla laurea in Medicina.

La Psicoterapia moderna nasce con l’obiettivo-intenzione di curare la Psiche malata; in questo senso si pone come la prima declinazione sanitaria della Psicologia (la cui nascita possiamo inquadrare nel 1890, ad opera di Wilhelm Wundt).

La Psiche malata era già oggetto di cura della Psichiatria, disciplina/specializzazione medico-scientifica; adesso diventa anche oggetto di cura di una nuova disciplina, che, sforzandosi di utilizzare i metodi delle scienze fisiche, pretende d’essere scientifica: la Psicologia e la sua derivata Psicoterapia.

La nascita del counseling in Italia

In Italia, il Counseling nasce negli anni 1990, in un tempo in cui i suoi sviluppi storici e i suoi utilizzi pratici si sono fortemente intrecciati ed integrati con la storia della Psicoterapia (si badi bene: NON con la storia della Psicologia); valga come esempio eclatante di questo intreccio il libro di uno tra i più importanti psicoterapeuti della storia umana, Carl Rogers, “Psicoterapia di Consultazione”, in cui (siamo nell’America del 1942) il RUOLO DEL COUNSELING viene così presentato:

“Ci sono molte persone la cui professione consiste in gran parte nell’avere colloqui con soggetti che ad esse si rivolgono, per determinare, mediante tali contatti personali e diretti, modificazioni costruttive nel loro atteggiamento. Si chiamino essi psicologi, consulenti psicologici universitari, consulenti psicologici matrimoniali, psichiatri, assistenti sociali, consulenti psicologici per l’orientamento scolastico nelle scuole superiori, assistenti dei lavoratori dell’industria, o altro, le tecniche e i metodi di cui si avvalgono ci interessano solo se, dopo il colloquio, il disadattato, l’eterno indeciso, il fallito o il delinquente, sa adattarsi meglio ai propri problemi e gli riesce meno difficile far fronte, in modo costruttivo, alla realtà della vita.

A tali procedimenti di colloquio si possono dare nomi diversi; possiamo chiamarli, con un’espressione semplice e descrittiva, colloqui terapeutici; più spesso, però, vengono definiti globalmente ‘counseling’, espressione entrata ormai nel linguaggio corrente soprattutto presso i circoli pedagogici. Oppure questi contatti, intesi a porre rimedi e cure, possono esser classificati sotto la voce ‘psicoterapia’, termine questo comunemente usato da assistenti sociali, psicologi e psichiatri clinici.”

In Italia, il Counseling, come attività professionale specifica, esercitabile da uno specifico professionista denominato Counselor, viene introdotto per il tramite di specifiche Scuole di Counseling, istituite, organizzate e dirette da psicoterapeuti, che integrando le “abilità di counseling” nella loro filosofia e prassi psicoterapeutica, ne sono esperti fino al punto di poterne erogare la formazione, organizzandola in vere e proprie Scuole di Counseling.

Li motiva aver ben chiaro che:

  1. il Counseling sia una relazione d’aiuto professionale che, a tutto tondo, trova buone ed efficaci applicazioni in ogni ambito di esistenza umana, non solo in quelli sanitari;
  2. per le sue funzioni di cura e promozione del benessere, il Counseling sia stata una competenza relazionale acquisita dalla moderna Psicoterapia, ma comunque distinguibile da essa, soprattutto quando la Psicoterapia viene confinata nella sua funzione di cura sanitaria dei disturbi psicologici;
  3. l’istituzione e la proposta della formazione in counseling, in Italia, possa essere un’intelligente operazione di mercato e risposta creativa ad una particolare stortura legislativa e culturale che caratterizza la storia della psicoterapia in Italia.

La stortura legislativa/culturale cui mi riferisco è quella di riconoscere, giuridicamente, solo ai laureati in medicina e in psicologia il diritto di accedere alla formazione in psicoterapia e, quindi, alla relativa attività professionale di psicoterapeuta.

Una stortura legislativa che è confluita nella stortura culturale di posizionare la psicologia-psicoterapia, principalmente, come attività di cura-terapia di carattere medico- sanitario; cosa che ha lasciato (e continua a lasciare) molto sullo sfondo le altre 1000 utili e interessanti, possibili, applicazioni della Psicologia-Psicoterapia in ambiti NON sanitari.

Principale responsabilità di questo accadimento non può che essere ascritta agli psicologi e psicoterapeuti italiani stessi, che hanno, di fatto, al quanto disdegnato il campo di attività professionali legate all’aiuto socio-esistenziale, identificandosi in massa nella visione di “specialisti preposti alla cura dei disturbi e della malattie mentali”.

La nascita del Counseling e di un’altra nutrita quantità di attività professionali, centrate sull’aiuto alla persona, in Italia, ha quindi in parte riempito uno spazio che psicologi e psicoterapeuti hanno snobbato.

Ma quando noi Counselor & Altri Professionisti della Relazione d’Aiuto lo abbiamo valorizzato e reso appetibile, gli psicologi hanno reagito reclamandolo come loro dominio esclusivo, pretendendo di poterlo occupare solo loro, pur non essendone capaci e non avendone le necessarie competenze (principalmente perché non debitamente formati alla bisogna).

Ma, per riprendere il filo del discorso legato alla “stortura” legislativa/culturale del confinamento della psicologia/psicoterapia in ambito sanitario, dobbiamo ritornare all’analisi della storia della psicologia-psicoterapia nel mondo e in Italia.

 Il Counseling come anima antesignana della moderna Psicoterapia

Abbiamo or ora parlato della Psicoterapia moderna come “funzione asservita” a un’idea di Psicologia principalmente volta alla “cura” sanitaria della psiche (malata) umana.

Ne è prova il primo significativo esempio di psicoterapia moderna: la psicoanalisi freudiana.

Sigmund Freud, un medico, lavorando su alcuni propri particolari casi clinici, in contatto creativo con i suoi “saperi” storici, classici, mitologici, filosofici e sociologici (non certo quelli psicologici, che erano ancora molto indefiniti, né tanto meno quelli medico-scientifici!), procedendo empiricamente “per tentativi ed errori”, arriva ad una sua intuitiva definizione della struttura della psiche, articolandola nella famigerata triade “Es – Io – Superio”.

L’intenzione di Freud era di curare alcuni suoi pazienti, variamente affetti da disturbi classificabili come psicopatologie.

La vita è proprio un susseguirsi di eventi che si rincorrono sulla via del paradosso: la prima forma conclamata di “psicoterapia medica”, storicamente presentatasi come tale, è creata sì da un medico, ma facendo ricorso a saperi che con la medicina e la psicologia non c’entrano nulla.

Freud è un esploratore dell’irrazionale, del mondo dei sogni, delle loro valenze simboliche e dei collegamenti che tutto questo ha con l’esistenza materiale degli individui, quella in cui prendono corpo i loro pensieri, i loro sentimenti, le loro scelte, i loro comportamenti, insomma la loro esistenza.

Di questo Freud è assolutamente consapevole e, dopo averla scoperta e praticata, dichiara che la Psicoanalisi, come teoria e prassi, è un sapere acquisibile, principalmente, per il tramite di una psicoanalisi personale, debitamente corposa per durata e profondità.

All’analisi personale bisognerà associare lo studio della sua teoria psicoanalitica e una buona conoscenza dell’uomo, soprattutto nei suoi versanti di storia della cultura, delle idee e delle espressioni-rappresentazioni artistiche e religiose-spirituali.

Freud non ritiene necessaria una formazione in medicina, né in psicologia, per apprendere ed esercitare professionalmente la sua psicoanalisi, confermando così il suo essere parte di una più generale storia della psicoterapia nata e cresciuta, sin dagli antichi greci, in ogni intenzione filosofica e pedagogica di usare la psiche per aiutare l’uomo a meglio affrontare qualsiasi problematica esistenziale di gestione ordinaria e straordinaria della propria vita.

Di fatto e paradossalmente, Freud non fa altro che riagganciarsi a un’idea e a una prassi di “psicoterapia”, che ne valorizza l’intrinseca ambivalenza semantica (anche se i suoi epigoni finiranno per attestarsi, quasi esclusivamente, su una sola delle due valenze, quella medico-sanitaria).

Infatti, il termine “psicoterapia”, da un lato, sta a indicare tutto ciò che possiamo fare per curare la “psiche”; da un altro, sta a indicarci tutte le possibilità che abbiamo di utilizzare la “psiche” come fonte, istanza e leva terapeutica, soprattutto nei suoi versanti di cura salutistica, volta alla promozione del benessere, della crescita e di un sano sviluppo degli esseri umani.

Nel primo caso, la psicoterapia presuppone una psiche, o una parte di questa, malata, che diventa oggetto di cure, principalmente medico-sanitarie.

Nel secondo caso, la psicoterapia presuppone il ricorso agli elementi costitutivi della psiche (emozioni, sentimenti, pensieri, atteggiamenti comportamentali, bisogni), come strumenti di cura del benessere, della salute e della crescita delle persone.

Nel primo caso ci occupiamo di malattie; nel secondo caso ci occupiamo di persone, rendendo ancora chiara la doppia valenza del termine “terapia”, così come lo abbiamo ereditato dalla nostra storia antica:

  1. sia di funzione sanitaria e
  2. sia di funzione salutistica, di crescita e sviluppo personale.

Per rendere più chiaro il concetto di uso della “psiche come leva terapeutica”, pensiamo ad esempio al significato del termine “cromoterapia”, cioè all’utilizzo di luci e colori a fini “terapeutici” (nell’accezione di ciò che produce benessere, non di ciò che cura malattie):

  • così come la “cromoterapia” utilizza degli effetti cromatici in chiave terapeutica (di salute e benessere, non certo di cura di una “cromo” malata!), la “psicoterapia” utilizza degli effetti psicologici per finalità terapeutiche (di salute, benessere e crescita personale).

Più precisamente: attraverso l’uso di particolari competenze relazionali, lo “psicoterapeuta” riesce ad attivare nei propri “pazienti” stati emotivi, visioni delle cose e atteggiamenti comportamentali in grado di farli star meglio, mettendoli in condizione di muoversi più adeguatamente-funzionalmente nelle situazioni problematiche della loro esistenza.

Quindi, psicoterapia vuol dire sia curare la psiche malata, sia usare la psiche sana, usandola come leva per far star meglio le persone e farle vivere e agire meglio!

Questa seconda accezione di psicoterapia è ciò che noi Counselor chiamiamo Counseling, è quella adottata dai primi counselor, è quella ripresa e ufficialmente valorizzata dalla “Psicologia Umanistica”, dalla fine degli anni ’30 in avanti; una visione indubbiamente collegata alla storia della Filosofia-Pedagogia, che molto si lega, anche, alla storia dell’arte, maestra nel rappresentarci le valenze psichiche dell’esistenza e nell’offrirsi come strumento psicoterapeutico utile alla gestione delle più svariate situazioni problematiche della nostra vita (non vorrei con questa riflessione aver suggerito a qualche psicologo l’idea di reclamare l’arte e i suoi utilizzi come proprio ed esclusivo dominio!).

Questa visione della Psicoterapia, che ha al proprio centro l’attivazione strategica degli elementi costitutivi della psiche, per promuovere il benessere, la salute e la crescita delle persone, riprende e segue la visione da cui si sono mossi i primi Counselor (inizio ‘900), ben prima di ogni psicologo/psicoterapeuta apparso al mondo!

Tale visione, come già presentato, è figlia di Mamma Filosofia e Papà Pedagogia e si chiama Counseling.

Del Counseling si appropria una particolare “Scuola di Psicologia”, denominata “Umanistica”, che prende le distanze dalle influenze della dominante Psicologia accademica (quella di stampo scientista-positivista, quella che predilige una visione di psicoterapia volta alla cura della psiche malata), dal determinismo, dal riduzionismo scientista e dalla semplificazione meccanicistica delle due correnti dominanti nel mondo della psicologia: il comportamentismo e la psicoanalisi.

La Psicologia Umanistica è fortemente influenzata dal pensiero filosofico di stampo fenomenologico ed esistenzialista, ne sposa e promuove l’idea che le persone possano essere individui liberi, responsabili, consapevoli e in grado di scegliere autonomamente (esattamente come scrive, nel 1909, il primo Counselor della storia, Frank Parsons, op. cit.).

La “Psicologia Umanistica” si rivolge alla persona nella sua interezza; non alla sua psiche malata; fa leva sulle potenzialità di crescita, sviluppo, maturazione di ogni individuo; assume posizioni critiche nei confronti dei trattamenti medico-psicologici in vigore; spinge perché venga privilegiata la qualità della relazione psicoterapeuta-paziente.

Per la “Psicologia Umanistica” la centralità dei naturali processi di crescita e sviluppo degli individui è tale da arrivare a inquadrare le stesse “malattie mentali” come accadimenti incidentali di questi stessi processi, dei quali rappresenterebbero particolari momenti di impasse, intoppo, interruzione: compito dello psicoterapeuta diventa così quello di favorire, attraverso la relazione, il ripristino delle migliori condizioni per riattivare il processo di crescita incidentato, interrotto o variamente incagliato.

La qualità della relazione interpersonale atta a produrre un tale risultato è esattamente quella che qualifica la relazione di Counseling, che si basa su competenze relazionali quali l’ascolto empatico-attivo, l’accoglienza, l’osservazione non giudicante, il confronto critico non direttivo; insomma quelle competenze relazionali attraverso il cui strategico utilizzo il counselor fa leva sulla “Psiche” dei propri clienti, cioè su quegli stati emotivi, quelle visioni delle cose e quegli atteggiamenti comportamentali in grado di farli star meglio, mettendoli in condizione di muoversi più adeguatamente-funzionalmente nelle situazioni problematiche della loro esistenza.

Precisiamo che il “far leva sulla psiche” delle persone con cui si interagisce è una funzione attiva, comunemente, in molte dinamiche relazionali; in alcune di queste, viene intenzionalmente, strategicamente e professionalmente, gestita in vista del conseguimento di specifici obiettivi (così come molte volte accade, ad esempio, nelle relazioni insegnante-allievo o allenatore-atleta).

Come sia possibile, per alcuni psicologi, pensare che il “far leva sulla psiche”, propria e altrui, sia una funzione esercitabile solo da un laureato in Psicologia, credo appaia misterioso ai più.

Visto quanto finora argomentato, come stupirci se nei primi testi sacri della Psicologia Umanistica, Psicoterapeuti come Rollo May (1939) e Carl Rogers (1942) parlino di Counselor e di Psicoterapeuta, di Counseling e di Psicoterapia, in modo indifferenziato?!

Come non vedere il Counseling come il precursore/anima della Psicoterapia moderna, almeno di quella che introduce e valorizza la dimensione relazionale come funzione terapeutica?

E se questo fosse troppo, come non riconoscere che, l’intersecarsi della storia della Psicoterapia, della Psicologia e del Counseling abbiano naturalmente prodotto contaminazioni che valorizzano ciascuna di queste, in ogni propria e particolare declinazione? 

PUNTUALIZZAZIONI

Ricapitolando e Aggiungendo:

  1. Usare la Psiche come leva “terapeutica” (nella sua accezione di cura per la crescita, l’apprendimento, il benessere) è un’intuizione e una prassi consolidata nella storia della Filosofia e della Pedagogia, rilanciata prima dal Counseling e poi dalla Psicoterapia.
  2. Seppur apparentate, Psicoterapia, Psicologia e Counseling hanno tre identità distinte: aspetto fondamentale del Counseling è il far leva su specifiche abilità, il cui utilizzo valorizza l’efficacia di molteplici altre attività umane centrate sulla relazione.
  3. Il mondo della Psicoterapia si è impossessato del Counseling, come competenza; questo ne ha sviluppato il valore, arricchendolo di contenuti, di forme e di applicazioni.
  4. Il fare Counseling è cosa diversa dall’applicare, alla bisogna e nei più disparati frangenti relazionali, le abilità di counseling; il Counseling è un’attività professionale specifica, esercitata da uno specifico professionista: il Counselor.
  5. La Formazione IN Counseling è “cosa specifica, ben differente” dai corsi di laurea in Psicologia, per il suo essere centrata sull’allenamento di specifiche abilità pratiche e su di un percorso di analisi e di crescita personale di tipo psicoterapeutico, che i corsi di laurea in Psicologia non prevedono. Chi possiede una laurea in Psicologia, quindi, non può considerarsi Counselor ed esercitarne la professione; sarebbe come se, ad esempio, un laureato in Scienze dell’Alimentazione si pensasse cuoco e, non solo volesse fare il cuoco, ma pensasse d’essere l’unico titolato a farlo: il Counseling sta alla psicologia come la cucina, intesa come arte culinaria, sta alle scienze dell’alimentazione.
  6. Chiunque abbia seguito con profitto uno specifico e adeguato percorso formativo in counseling, e abbia imparato a farlo, può fare counseling.
  7. Chiunque non abbia fatto una specifica formazione IN Counseling, se dice di poterlo/sapere fare o è vittima della propria ignoranza (se non della propria cattiva coscienza/stupidità) o è in malafede.
  8. La competenza di Counseling è acquisibile, ed il percorso formativo in Counseling è percorribile, a prescindere da una precedente formazione/laurea in Psicologia o Medicina (come la storia del Counseling ha dimostrato e dimostra laddove è in corso); come dimostrano tutti i Counselor che, pur in mancanza di qualsivoglia formazione universitaria, hanno imparato a fare Counseling e lo esercitano professionalmente, con successo.
  9. Gli Psicoterapeuti, che si sono messi a fare la Formazione IN Counseling, hanno aperto nuovi mercati del lavoro, sia per loro stessi, sia per i diplomati Counselor, che, rilanciando anche in Italia le funzioni originarie del Counseling, hanno aperto e dato valore, anche in Italia, ad applicazioni che psicoterapeuti e psicologi per lo più disdegnavano e, paradossalmente e sostanzialmente, continuano a disdegnare (anche se non sopportano che le facciamo noi counselor).
  10. I saperi e le tecniche di quelle discipline/scienze che si occupano, seppur in modo diverso, di uno stesso dominio (l’esistenza umana, per il counseling e la psicologia, ad esempio), non possono che intrecciarsi e contaminarsi continuamente; sarebbe molto meglio, quindi, se psicologi e counselor collaborassero, invece di farsi la guerra.

[1] Le attività di Vocational Counseling erano quelle di supporto e di orientamento professionale, miravano ad aiutare le persone ad integrarsi nel mondo del lavoro; famoso è il libro di Frank Parsons, pubblicato postumo nel 1909, “Choosing a Vocation”, Houghton Mifflin, Boston.  Le attività di Guidance Counseling (1913 – Jesse. B. Davis) erano primariamente indirizzate agli studenti delle scuole nell’ambito educativo e professionale.  Due orientamenti che affondano le proprie radici nella pedagogia (e non nella psicologia) e nell’applicazione delle sue metodiche.

[2] Sulla storia del counseling e i suoi sviluppi, negli Stati Uniti d’America, un articolo molto interessante e ricco di dati è quello di A. Onelli, nel suo blog professionale: “Counselling – la “materia oscura” di uno scontro tutto italiano dai contorni più politici che professionali”.

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