COACHING & COUNSELING, IDENTITA’ E DIFFERENZE (Cap. 3).
COACHING & COUNSELING, IDENTITA’ E DIFFERENZE.
A cura di: Domenico Nigro. Direttore didattico e trainer della Scuola IN Counseling. Consulente aziendale. Life e Business Coach.
CAP. 3: IL COLLOQUIO DI COACHING
(per leggere o scaricare tutti i capitoli dell’opera, clicca qui…)
Nel gestire il colloquio di coaching, il coach è, sempre, particolarmente attento alla propria funzione di motivatore. Vediamo come.
Il colloquio di coaching è una struttura dialettica fondata su quattro pilastri:
- l’instaurazione e lo sviluppo di una relazione fiduciaria col cliente,
- l’affabulazione del focus portato dal cliente
- l’analisi delle potenzialità e degli ostacoli
- la progettazione e la verifica esecutiva del piano d’azione
1. L’instaurazione e lo sviluppo di una relazione fiduciaria col cliente.
Il colloquio di coaching è il momento fondante la relazione coach-cliente.
il coach entra in relazione con il proprio cliente (altrimenti detto coachee) accogliendolo, mettendosi in posizione d’ascolto, puntando a stabilire quella comunione di intenti e di sentimenti che sarà alla base del loro rapporto.
Accoglienza, Ascolto, Motivazione, sono le tre azioni fondamentali del coaching.
Il coach gestisce gli opportuni convenevoli d’accoglienza, attivando tutte le proprie “competenze relazionali” (vedi Domenico Nigro, “L’Abc delle competenze relazionali”, Pendragon-Fortepiano, Bologna, 2012) in vista della gestione del più efficace contatto col coachee.
2. L’affabulazione del focus portato dal cliente
Il “focus” è il motivo per il quale il cliente si rivolge al coach.
Dopo aver gestito gli opportuni convenevoli d’accoglienza, il coach si rivolge all’analisi del “focus” ed alla sua affabulazione.
L’affabulazione del “focus” congiunge la ricostruzione degli eventi che hanno spinto il cliente a richiedere l’intervento di coaching con la definizione di cosa il cliente vorrebbe circa gli sviluppi di tali eventi.
L’affabulazione del “focus” diventa così una narrazione in cui il cliente matura, nel proprio immaginario, il passaggio da uno stato di insoddisfazione ad uno stato di soddisfazione e mette a fuoco le proprie possibilità di crescita, di cambiamento e di sviluppo.
Il “focus” è, quindi, la messa a fuoco, da un lato, dello stato di insoddisfazione/disagio che il cliente sta vivendo e, dall’altro, dello stato di agio e soddisfazione che il cliente desidera per sé (per aiutare qualcuno, non è sufficiente sapere cosa non vuole, è necessario sapere cosa vuole!).
Questi due “stati” vengono inquadrati in una storia:
- ricostruita nella “genesi” del vissuto che ha portato il cliente al proprio stato di insoddisfazione/disagio,
- costruita nello “sviluppo” immaginario di quel vissuto che porterà il cliente al proprio stato di soddisfazione e di agio.
Il modo in cui, col cliente, ricostruiamo la sua storia, inserendola in una prospettiva di cambiamento/miglioramento, è anche il modo in cui cominciamo a dare forma al nostro intervento di coaching.
Se riusciamo a far sì che il cliente si immagini protagonista della propria eroica storia di cambiamento/miglioramento, identificandosi con questa, noi non stiamo semplicemente, insieme al cliente, raccontando una storia, la stiamo costruendo per percorrerla.
Se condividiamo col cliente l’affabulazione del “focus”, facendolo immaginare come il protagonista/eroe di una storia in divenire, che può sentire sua e con la quale può identificarsi, noi aiutiamo il cliente a rifondarsi, ad uscire da una storia che lo ha visto in balìa e vittima degli accadimenti che l’hanno strutturata per appropriarsi di una storia in cui gli accadimenti sono e saranno da lui stesso determinati.
Una richiesta d’aiuto è sempre associata ad una speranza di cambiamento.
Ma cosa si vuole cambiare se non la storia di vita che si sta vivendo?
Chi si rivolge al coaching è alla ricerca di una nuova storia, di un nuovo senso, una nuova trama di quei nessi causali che tengono insieme gli accadimenti della propria vita.
Una storia che “racconti” un lieto fine; una storia portatrice di cambiamento, crescita, sviluppo e miglioramento.
Costruire questa storia (insieme al cliente) è un modo per entrare in contatto con il disagio del cliente e con i suoi bisogni/desideri, con ciò che sono le sue difficoltà e le sue potenzialità.
La storia valorizza.
Tutto ciò che nella/della vita di un individuo viene storicizzato (nel senso di: assunto come storia), viene dall’individuo stesso esperito come significativamente degno del massimo rispetto/valore.
Ma la storia che noi ricostruiamo/costruiamo ha una sua “genesi” passata ed un suo “sviluppo” non ancora accaduto; fare dell’una (la genesi) e dell’altro (lo “sviluppo”) un’unica storia, dotata di continuità ed integrazione, immaginata, pensata ed accolta come propria da parte del cliente, proietta il cliente stesso verso la messa in atto di questa storia, lo aiuta ad identificarsi in essa e a fare di questa, concretamente, la propria storia di vita.
Il coaching è una relazione d’aiuto nella quale coach e coachee costruiscono storie delle quali il coachee è protagonista, artefice ed eroe. Tali storie sono, dal cliente, dapprima immaginate ed affabulate (insieme al coach) e poi, dal cliente stesso, realizzate.
Dunque il focus è affabulazione, racconto in termini problematici di quella dinamica (“genesi”) che parte dal vissuto che spinge il cliente a rivolgersi ad un coach e si sviluppa fino alla proiezione (“sviluppo”) di quel futuro che egli desidera per sé, in cui quello stesso vissuto viene trasformato e positivamente superato.
Nell’affabulazione del focus, il coach aiuta il cliente a delineare come è arrivato alla condizione presente (di desiderio / necessità di cambiamento) e cosa significhi per lui riuscire a superarla, portandola avanti verso traguardi sempre più gratificanti.
Si tratta di esplorare il punto di vista del cliente, di conoscerne il contesto ed il modo in cui lo vive. Permettergli di narrarsi ci permetterà di fare ipotesi che ispireranno le nostre domande.
Il focus viene delineato attraverso l’esplorazione dei desideri del cliente. Dobbiamo domandarci:
- Qual è il desiderio più forte del cliente (funzione “sviluppo”)?
- Cosa lo fa maggiormente soffrire (funzione “genesi”?)
- Cosa lo fa maggiormente gioire o semplicemente “star bene” (funzione “sviluppo”)
- Quali sono i benefici più importanti (funzione “sviluppo”) che sottendono ciò che lui presenta come propri desideri?
- I suoi desideri sono sotto il suo possibile controllo?
Compito del coach è quello di sviluppare nel cliente la capacità di trovare risposte a tali interrogativi.
In materia di affabulazione del focus, entrano in gioco numerosissime variabili: le domande che facciamo e ciò che il cliente racconta o “dimentica”, le relative emozioni ed i sentimenti associati, i contesti evocati ed il rapporto che con questi il cliente ha vissuto e/o vive tuttora (a tal proposito: la capacità di sviluppare tale “gioco” è una competenza legata al “sentire”; dinamica più tipicamente attiva in una relazione di Counseling).
Al fine di facilitarne l’analisi, inquadriamo, strumentalmente, tutte le variabili in gioco nelle due funzioni narrative, già chiamate: “genesi” e “sviluppo”
Nella funzione “genesi”comprendiamo tutto ciò che, per il cliente, corrisponde al negativo, tutto ciò che non sopporta o che, più semplicemente, desidera cambiare.
Nella funzione “sviluppo” inseriamo, invece, le speranze, la volontà di cambiamento, la progettualità e la futura visione di sé del cliente.
La funzione “sviluppo” anticipa uno stato finale di soddisfazione: il progetto d’autorealizzazione del cliente.
Alla funzione “genesi” corrisponde la critica, alla funzione “sviluppo” la costruzione. La prima descrive in termini critici come il cliente è arrivato alla condizione presente, la seconda progetta un processo di cambiamento trasformazionale.
Sin dal primo colloquio di coaching, il coach si addentra nel focus del cliente, che verrà ripreso in ogni successivo colloquio coach-coachee.
Quello che il coach vuole mettere a fuoco è, da un lato, la situazione contingente che il cliente vive (funzione “genesi”) e che lo ha portato da lui; dall’altro, vuole mettere a fuoco il suo futuro desiderato (funzione “sviluppo”); dargli di ciò un preciso feedback, che lo aiuti a coniugare queste due funzioni in un progetto di autorealizzazione capace di armonizzarsi con le sue aspettative.
In ogni colloquio di coaching, il cliente (sollecitato dal coach) lavora sul proprio focus:
- parla di sé, della situazione in cui si trova e di come la sta vivendo,
- delinea lo scenario futuro per lui desiderabile;
il coach sollecita la narrazione del cliente, rivolgendogli opportune domande, e la inquadra nelle due funzioni “genesi” e “sviluppo”.
Lo scopo principale del lavoro sul focus è costruire il giusto contesto di intervento e, al contempo, sollecitare la massima motivazione del cliente a procedere con entusiasmo e coinvolgimento.
Il coach sosterrà l’affabulazione del “focus”:
- esplorando ed evidenziando le potenzialità del cliente
- aiutando il cliente a delineare i possibili ostacoli ed impedimenti che potrebbero inibirne le azioni, nonché una politica per superarli,
- fornendo feedback adeguati su ciò che emerge dal colloquio;
- aiutando il cliente a definire un piano d’azione organizzato temporalmente in vista del successivo incontro e, funzionalmente, in relazione al conseguimento di specifici obiettivi;
La gestione del colloquio di coaching può essere pensata come l’attuazione di una strategia relazionale fondata su modalità efficaci di comunicazione; queste si sviluppano intorno ad una successione preordinata di domande cruciali, intervallate e sostenute dall’utilizzo di uno specifico sistema di strumenti dialettici (vedi Domenico Nigro, “L’Abc delle competenze relazionali”, Pendragon-Fortepiano, Bologna 2012, Parte Prima, Cap. 1); mi riferisco, in particolare, all’attenzione e al rispetto che il coach riserva:
- ai toni e al ritmo con cui il cliente affronta la discussione
- all’attivazione di forme di comunicazione biunivoca
- alla comunicazione non verbale e para verbale
- al modo in cui fornire i feed back (vedi Cap.6)
- all’utilizzo delle tecniche assertive della “contestualizzazione”, dell’ “immaginazione”, della “verifica”, della “trasparenza”, del “gestire la propria e l’altrui emotività” (vedi “L’Abc delle competenze relazionali”).
Il coach padroneggia l’insieme di questi strumenti, utilizzandoli opportunamente a sostegno della trama di domande cruciali su cui sviluppa la gestione del colloquio di coaching, che, in “materia” di “focus”, ruotano intorno ai seguenti quesiti:
- “qual è la ragione principale che ti ha spinto a rivolgerti a me?”
- “Come stai vivendo la situazione attuale? In particolare, cosa non ti piace?”
- “Come ci sei arrivato? C’è qualcosa in particolare che ti spinge a voler cambiare questa situazione?”
- “Cosa ti farebbe sentire meglio? Che cosa, ovvero, quale risultato ti renderebbe felice? Come pensi di procedere?”
- “Qual è la tua esperienza in materia di …?”
- “C’è qualcosa in particolare su cui vorresti puntare per raggiungere …?” (il coach ripropone, cercando di utilizzare le parole chiave che ha utilizzato il cliente, il risultato che lo renderebbe felice, così come lui stesso lo ha descritto, parlando del proprio focus)
- “Come potresti organizzarti per riuscire ad ottenerlo?”
- “Quali sono quelle tue caratteristiche personali sulle quali ti piacerebbe puntare per raggiungere i tuoi obiettivi?”
- “Quali sono le attività che preferiresti fare?
- “c’è qualcosa in particolare che potrebbe ostacolare la tua decisione di ….?
- “cosa ti impedisce di …?”
- “hai già un’idea di un obiettivo concreto e specifico, raggiunto il quale, raggiungeresti ciò che ti stai prefiggendo?”
Va da sé che tale trama di domande sarà, alla bisogna, irrobustita da tutte quelle specificazione, riflessioni e considerazioni utili a sostenere il dialogo.
Il tema “il colloquio di coaching” è stato qui introdotto come struttura dialettica fondata su quattro pilastri:
- l’instaurazione e lo sviluppo di una relazione fiduciaria col cliente,
- l’affabulazione del focus portato dal cliente (“genesi” e “sviluppo”)
- l’analisi delle potenzialità e degli ostacoli
- la progettazione e la verifica esecutiva del piano d’azione.
Per quanto riguarda il primo punto, il coach fa leva sulle proprie competenze relazionali (vedi Domenico Nigro, “L’Abc delle competenze relazionali”, Pendragon-Fortepiano, Bologna, 2012).
Circa l’affabulazione del focus, vale quanto sopra detto.
Procediamo adesso con i punti 3 e 4.
3. L’analisi delle potenzialità e degli ostacoli.
Di “potenzialità” ho già argomentato, precedentemente (Cap. 2), parlando di motivazione.
Nel colloquio di coaching, affrontare il tema “potenzialità” collegandolo a quello degli “ostacoli” è uno dei modi più significativi attraverso cui il coach si prende cura del proprio cliente, intendendo con essa la continua ricerca e valorizzazione di quanto possa, concretamente, aiutare il cliente a realizzare i propri desideri.
Mettere a fuoco gli ostacoli e gli impedimenti che il cliente potrebbe incontrare nel portare avanti i propri piani d’azione è, indubbiamente, utile al progettare le più opportune strategie di superamento/gestione degli stessi.
Aver chiaro quali sono le “potenzialità” del cliente, diventa una preziosa risorsa a cui riferirsi per tale bisogna.
Non prendere in considerazione il fatto che potrebbero esserci o presentarsi possibili impedimenti alla realizzazione dei desideri del cliente e, di conseguenza, non attrezzarsi per gestirli e superarli, sarebbe un errore strategico imperdonabile.
Il nostro comportamento è tanto più efficace quanto più è mosso verso finalità considerate, da noi stessi, sostanzialmente raggiungibili.
Il non pensare a, e il non concentrarsi su, cosa potrebbe impedirci la realizzazione dei nostri scopi è, da un lato, tipico di quelle situazioni personali in cui gli scopi stessi non sono ancora stati sufficientemente definiti, dall’altro, si afferma come meccanismo nevrotico di difesa, attuato per sfuggire il carico di responsabilità che la cosa comporterebbe, con tutti i suoi correlati di fatica e di possibili sofferenze. In quest’ultimo caso ci accontentiamo di “fantasticare” la realizzazione dei nostri desideri, perché spaventati da cosa vorrebbe realmente dire passare al piano pratico dell’azione, attestandoci sull’inconcludenza tipica di chi fa della velleità la propria principale regola di vita.
Un bravo coach è assolutamente consapevole di tutto ciò e, infatti, attraverso l’affabulazione del focus del cliente, punta subito alla definizione degli scopi (del cliente stesso); col lavoro sulle potenzialità, ne sostiene la realizzabilità; evidenziando gli ostacoli, responsabilizza il cliente ad attivarsi per superarli. Il coaching, quindi, ha una natura fortemente volitiva e assume la volitività come propria caratteristica principale. Chi non dovesse averla, difficilmente potrà investirsi del ruolo di coach e svolgerne efficacemente la funzione.
4. La progettazione e la verifica esecutiva del piano d’azione.
Lavorando all’affabulazione del “focus” ed evidenziando potenzialità ed ostacoli, il coach induce il cliente a ragionare concretamente sul piano d’azione che vuole/può eseguire per ottenere i risultati attesi.
Il coach aiuta il cliente a definire e perseguire il suo piano d’azione incoraggiandolo, sostenendolo e, nel caso, esortandolo e, soprattutto, richiamandolo alla coerenza fra desideri, potenzialità, obiettivi e azioni (vedi più avanti, quando sarà ripresa la riflessione su “Il Piano d’Azione” e trattato il tema della gestione dei feedback).
Il piano d’azione verrà compiutamente definito solo quando l’affabulazione del focus, l’individuazione delle potenzialità ed una politica in grado di affrontare e superare i possibili ostacoli saranno ben delineate in funzione del conseguimento di un obiettivo Specifico, Misurabile nell’unità di tempo, Azionabile realisticamente (vedi oltre, nella trattazione del “Goal Setting”).
Nel colloquio di coaching, la definizione di un obiettivo finale (il Goal) verso il quale e sul quale far convergere coerentemente tutto il lavoro d’analisi sul focus, sulle potenzialità, sugli ostacoli e sul piano d’azione, è un’istanza insita a, ed inseparabile da, tutto questo stesso lavoro.
Sia l’obiettivo finale, sia gli obiettivi di prossimità (vedi Cap 4: “Il Goal Setting”) si definiscono sempre per aggiustamenti successivi e sempre in stretta relazione da quanto emerge in materia di focus, potenzialità, ostacoli e possibile realizzazione del piano d’azione.
Nel primo colloquio di coaching, riuscire a definire con il cliente un suo (ancorché, inizialmente, sommario) piano d’azione, organizzato in vista della realizzazione dei suoi desideri e circostanziato intorno a dei primi specifici compiti, ci permetterà di spingere subito il cliente all’azione e, successivamente e per successive approssimazioni, nei successivi colloqui, di arrivare a definire un piano d’azione più specificatamente articolato in vista del “goal” finale
Nei successivi colloqui di coaching, continuare a lavorare alla definizione del piano d’azione del cliente renderà più certa la realizzazione dei suoi obiettivi e, con ciò, la sua soddisfazione nei propri confronti e nei confronti della relazione di coaching stessa. Tutto ciò a beneficio finale della sua motivazione ad agire e a realizzare i suoi desideri.
Il progettare ed implementare col cliente il suo piano d’azione, nella successione di colloqui di coaching, è un’operazione possibile nella misura in cui sapremo, in ciascuno di questi:
- reinstaurare e rilanciare, di volta in volta, la relazione fiduciaria col cliente,
- aggiornare al meglio l’affabulazione del focus,
- agganciarci, sempre, a potenzialità e ostacoli,
- definire e/o ridefinire obiettivi coerentemente collegati a: focus, potenzialità e ostacoli.
Insomma, in ogni colloquio di coaching, si ripartirà dalla ricapitolazione di quanto avvenuto e concordato nel colloquio precedente, si verificheranno i risultati raggiunti, con un’opportuna gestione dei feedback, e si integrerà il tutto nella riproposizione del processo, testé presentato, di: relazione fiduciaria, focus, potenzialità e ostacoli, piano d’azione.
(per leggere o scaricare gli altri capitoli dell’opera, clicca qui…)
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