La natura sociale dell’esistenza umana e le sue forme

La natura sociale dell’esistenza umana e le sue forme:

La coppia, la famiglia, il gruppo, la comunità”.

Il presente articolo è il capitolo 8.1 del “Manuale per la Formazione IN Counseling”

8.     La natura sociale dell’esistenza umana

Elemento naturale della vita umana è la dimensione sociale, che diventa anche culturale quando, per aiutarsi ad affrontare la propria esistenza, l’uomo comincia a costruire utensili, oggetti, apparecchiature varie e mondi ideali.

Mondi ideali, frutto di pensieri e d’immaginazioni collettive prodotte per rappresentare, spiegare e dare significato alle ragioni della propria esistenza, del proprio nascere, vivere e morire, delle proprie fattezze, del proprio essere organizzati socialmente e della propria spiritualità; in altre parole, per spiegarsi la vita, organizzarla e dare un senso alla propria esistenza.

Nessun altro essere vivente, per vivere, ha sviluppato un’articolazione di strutture sociali, e culturali, così complessa e variegata come l’uomo.

Se, biologicamente, la vita umana insorge e si sviluppa in forza del proprio essere organizzata socialmente (basti pensare, innanzitutto, a come avviene la riproduzione), storicamente la vita umana insorge, si rende possibile e si sviluppa, grazie al proprio essere inglobata in una qualche forma d’esistenza sociale culturalmente determinata.

Biologia, socialità, cultura sono tre dimensioni inestricabili della vita umana; le possiamo analizzare separatamente, per poterne meglio mettere a fuoco forme e contenuti, che però saranno compresi al meglio solo se risistemati nel quadro completo di un’esistenza umana, di cui riconosciamo quanto la dimensione biologica, sociale e culturale s’inscrivano in un’unica, inestricabile, composizione.

Curiosamente, la natura sociale dell’esistenza umana, riconoscibile dalle interazioni e dagli scambi con l’ambiente e con gli altri esseri viventi che ogni singolo individuo umano intrattiene, la ritroviamo anche all’interno di ogni singolo organismo biologico/umano, che è a sua volta un insieme di “parti” che vivono, ma sarebbe meglio dire con-vivono, grazie ai loro scambi, alle loro interazioni e alle loro interrelazioni.

Insomma, ogni singolo organismo biologico/umano è un sistema di scambi, interazioni e interrelazioni interne, che vive in forza del proprio partecipare ad un sistema di scambi, interazioni ed interrelazioni esterne.

L’integrazione della dimensione biologica con quella socio-culturale è alla base della vita umana e ne determina gli sviluppi; lo confermano i cambiamenti antropomorfici e funzionali che il genere umano ha storicamente attraversato e potrebbe confermarlo ogni possibile diversità di ogni singolo “destino” umano, come ci ricorda C. A. Redi (in “Costellazioni, Sette lezioni sulla comunità”, “Dall’individuo al con-dividuo”, Guerini e Associati, 2021):

 “Il contesto sociale nel quale si sviluppa la storia del ciclo vitale degli individui è capace di influenzare molti processi biologici e così il sociale si “incarna” nel biologico, passando da una generazione all’altra. Il genoma, nelle diverse fasi dello sviluppo, è esposto a una varietà di agenti chimici e fisici, detti xenobionti; l’ambiente sociale (censo, famiglia, scuola, religione, cultura …) ne influenza in modo determinante il grado di esposizione e la struttura sociale tende a veicolare continuità di vantaggi o svantaggi. Sono ben noti sia l’arresto della crescita in altezza dovuto a deprivazioni emotive o nutrizionali degli infanti, sia le marcate differenze in longevità, buona salute e forma fisica in età avanzata, in relazione alla classe sociale …

Ognuno di noi è ciò che è in dipendenza dei luoghi (o dei mondi, n.d.r.) con cui viene a contatto, questa è l’epigenetica”.

Siamo, dunque, quello che siamo e, ancor meglio, facciamo quello che facciamo, in forza delle nostre interazioni ambientali e dei modi con i quali vi partecipiamo.

I modi con i quali partecipiamo alle interazioni ambientali è un “dominio” di particolare interesse del counseling; un “dominio” che viene rivisitato e simbolicamente ri-abitato in ogni sessione di counseling.

Poiché i modi, con i quali noi umani partecipiamo all’interazione ambientale, avvengono per il tramite di, e/o sono fortemente influenzati da, particolari strutture sociali, di alcune di queste qui proponiamo una particolare analisi.

Particolare perché vista con gli occhi di un counselor.

LA RELAZIONE INTERPERSONALE.

Per parlare di una qualsiasi struttura sociale è indispensabile partire dal suo fondamento: la relazione interpersonale.

Le relazioni interpersonali si presentano nella storia dell’uomo come elemento imprescindibile della sua esistenza.

Evidentemente, l’uomo ha dei bisogni, che lo tengono in vita e, gliela riempiono, che l’uomo non può fare proprio in qualità di singolo individuo, ma solo grazie alle proprie relazioni.

Chiamiamo relazione l’agire funzionalmente corrispondente di due o più persone.

Il significato della parola relazione è “azione che lega”; ciò che caratterizza una relazione interpersonale è il fatto che i comportamenti di chi sta e agisce in quella relazione siano fra di loro legati e in corrispondenza.

Consideriamo sana quella relazione interpersonale i cui membri, in quella relazione, non solo agiscono in modo collegato e corrispondente, ma lo fanno, soprattutto, congruamente e funzionalmente, in modo da soddisfare i bisogni di chiunque stia e agisca in quella relazione e per i quali la stessa si è costituita e continua ad esistere.

Poiché senza l’agire funzionalmente corrispondente di due o più persone non sarebbe possibile l’esistenza  umana, riconosciamo la relazione interpersonale come bisogno e condizione naturale della vita umana.

Cosa che ci aiuta a comprendere che:

  1. per meglio soddisfare tale bisogno l’uomo si doti di apposite strutture sociali, quali la famiglia, il gruppo, la comunità, la coppia, la tribù, le chiese, i partiti politici, le associazioni, ecc;
  2. le relazioni interpersonali si strutturino in forme riconoscibili, socio-culturalmente organizzate, per agevolare l’esistenza umana e la soddisfazione dei relativi bisogni (i comportamenti degli individui, all’interno di una struttura sociale organizzata e culturalmente riconosciuta, sono facilitati e più prevedibili e, quindi, offrono maggiori margini di sicurezza per chi ne è coinvolto);
  3. un qualche contatto individuo-ambiente sia indispensabile per attivare una relazione, ma il funzionamento di quella relazione è alla base della qualità dei contatti individuo-ambiente, che quella stessa relazione rende possibili e sviluppa.

Ricapitolando, storicamente, l’umanità soddisfa i propri bisogni di contatto interpersonale attraverso strutture sociali, cioè forme di relazione socio-culturalmente definite, che:

  1. rispondono al bisogno umano di instaurare relazioni,
  2. permettono agli individui di contattarsi più facilmente, senza dover negoziare da capo ogni volta modi e condizioni per farlo,
  3. semplificano le difficoltà del vivere sociale, diminuendone attriti e ambiguità.

Una struttura sociale nasce e si sviluppa per rispondere ai bisogni di chi ne fa parte; nella “qualità” delle relazioni interpersonali che la caratterizzano, cioè nei modi con cui queste avvengono e nei loro contenuti, va ricercato il senso di quella struttura sociale, riconosciuto il suo funzionamento e il suo valore.

Cosa che qui faremo nei confronti delle tre strutture sociali antropologicamente più importanti nella storia dell’esistenza umana:

  1. La coppia.
  2. La famiglia.
  3. La comunità.

In ultimo, affronteremo una funzione attiva in ogni struttura sociale storicamente presentatasi:

  • La leadership.

8.1  LA COPPIA

Da un punto di vista generale, socio-culturale, parlando di coppia ci riferiamo ad ogni tipo di unione fra due persone, che, su un piano di reciproco aiuto e/o di potere, di collaborazione e/o di competizione, perdurante nel tempo, intrattengono una relazione per il cui tramite perseguono scopi comuni e individuali, scambiando e/o condividendo beni materiali e/o immateriali.

Possiamo parlare ad esempio di coppia di amici o – perché no? – di nemici o avversari, come di amanti; possiamo riferirci a dei professionisti (una coppia di avvocati o di poliziotti o di comici) o a degli sportivi (una coppia di tennisti, avversari oppure partner in un duo di coppia) o, finanche, a dei “filibustieri” (famosa è la coppia letteraria del “gatto e la volpe”!); insomma possiamo riferirci a chiunque, in coppia, condivida una qualche forma di attività che possa essere eseguita, e/o condivida un qualche interesse che possa essere coltivato, solo grazie al concorso di entrambi e alla loro stessa relazione.

Il concetto di coppia si basa sul fatto che i due soggetti che la compongono intrattengano, tra loro, una qualche particolare forma di relazione interpersonale riconoscibile, da loro stessi e da chi entra in contatto con loro o, più in generale, sia culturalmente riconosciuta dal contesto sociale di appartenenza.

Ripartendo dalla considerazione che una struttura sociale si costituisce e sviluppa in funzione della propria capacità di soddisfare, o di permetterlo, un qualche bisogno umano, possiamo parlare di coppia come struttura sociale ogni qualvolta una relazione duale è attiva in funzione del conseguimento, da parte di uno o di entrambi i membri della coppia, di un qualche scopo e della soddisfazione di un qualche proprio bisogno, che singolarmente sarebbe irraggiungibile.

Una struttura sociale, formalmente istituzionalizzata o meno, è un modo di organizzare le attività e le relazioni interpersonali che servono agli uomini per vivere e/o per migliorare le condizioni della propria esistenza.

Da questo punto di vista, quella della coppia è la struttura sociale di base più semplice, che permette agli uomini non solo di vivere e di migliorare le condizioni della propria esistenza, permette addirittura la loro riproduzione e, con essa, la sopravvivenza dell’intera specie umana!

Quella della coppia è la struttura sociale di base, più semplice, perché rappresenta il modo più diretto e immediato di soddisfare il “bisogno dell’altro”, proprio della vita e dell’esistenza umana, e/o di attivare i processi di soddisfazione di tale bisogno.

L’ “altro” di cui come uomini abbiamo bisogno è da intendersi nella doppia accezione di:

  1. Tutto ciò che è diverso da noi, tutto ciò che è “altro” e sta fuori di noi (aria, acqua, cibo, terra, casa, ecc., ecc.), di cui abbiamo bisogno per vivere;
  2. Ogni nostro simile, con il quale entriamo in contatto, condividendo l’esistenza e relazionandoci per vivere.

Il bisogno dell’altro, inteso qui sopra nell’accezione punto 2, per noi uomini, è un bisogno la cui soddisfazione serve a soddisfare la gran parte dei bisogni che abbiamo, anche se la percezione che ne abbiamo, spesso si configura come bisogno dell’altro “tout court”.

  • Esempio dell’amore: ci innamoriamo di una persona in particolare e poi sentiamo il bisogno di quella persona; ma potremmo innamorarci di un’altra persona e sentire il bisogno di quell’altra; questo perché con l’una o con l’altra soddisfiamo un nostro bisogno d’amore, che è evidentemente alla base del nostro innamorarci dell’una e/o dell’altra (sarà il nostro stato di consapevolezza a orientarci, più o meno adeguatamente, verso la persona con cui meglio soddisfare il nostro bisogno d’amore).

Il bisogno dell’altro è talmente insito nell’esistenza umana, che si manifesta sin dalla nostra venuta al mondo!

Da neonati, infatti, abbiamo irrimediabilmente bisogno di un “altro” per vivere, data la condizione di assoluta incapacità personale di soddisfare, autonomamente, qualsiasi bisogno vitale, che non sia quello di respirare.

In realtà, estendendo la cognizione di “altro” a tutto ciò che è “altro da noi stessi”, la stessa aria che prendiamo dall’ambiente e respiriamo può essere considerata facente parte di quell’“altro” di cui abbiamo bisogno per vivere (accezione punto 1, qui sopra).

Insomma, è grazie al contatto/relazione con ciò che è “altro da noi stessi” che noi soddisfiamo tutti i nostri bisogni; sia perché quasi tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere è “altro da noi stessi” (tutto ciò che prendiamo dall’ambiente, per nutrirci, per dissetarci, per soddisfare tutti i bisogni fisiologici e psicologici di contatto fisico e relazionale, che abbiamo), sia perché senza la relazione con l’ “altro”, inteso specificatamente come uno o più altri esseri umani, non potremmo soddisfare la gran parte dei bisogni la cui soddisfazione ci tiene in vita e ci rende piacevole il vivere.

Tenendo in debito conto quanto finora anticipato, l’“altro” che qui prendiamo in considerazione, analizzando la coppia, come struttura sociale, è l’altro essere umano con il quale, di volta in volta, nel corso della nostra esistenza, entriamo in contatto ed in relazione, facendo esperienza diretta dell’essere, dello stare e dell’agire in coppia.

Il primo “altro”, attraverso cui, e nella relazione con, soddisfiamo i nostri bisogni vitali, è l’“altro” da cui siamo nati: nostra madre (o chi, in mancanza della stessa, ne fa le veci).

Una madre è l’“altro” che ci nutre e provvede alla soddisfazione dei nostri bisogni di cura, materiale ed affettiva/psicologica, necessari per la nostra sopravvivenza e per il nostro sviluppo (del rapporto madre-figlio, si parla, in questo stesso manuale, nel capitolo sull’infanzia).

In questo senso, la relazione madre-figlio è il primo modello di coppia, come struttura sociale, di cui facciamo esperienza.

Ed è il modello di coppia che più di ogni altro esemplifica il valore di “struttura sociale” della coppia, che è quello di mettere e tenere insieme due soggetti la cui relazione serve, a entrambi, a soddisfare un qualche proprio bisogno, che in altro modo non sarebbe possibile soddisfare (escludendo la possibilità di sostituire l’altro membro della coppia!).

Ad esempio, nella coppia madre-figlio, la soddisfazione del bisogno dell’uno (il figlio) avviene per il tramite della soddisfazione di quello dell’altra (la madre) e viceversa; ad esempio: il bisogno di nutrimento del figlio (cioè di riempirsi la pancia) incontra il bisogno di nutrire della madre (cioè di svuotarsi le tette). Due bisogni che si soddisfano all’unisono nello specifico atto relazionale dell’allattamento, dove l’una offre il latte e l’altro lo beve, una soddisfa il proprio bisogno di dare, l’altro quello di ricevere, non solo un bene materiale, anche quelli immateriali di natura affettiva psicologica collegati all’allattamento.

Una persona in contatto con un proprio bisogno di “dare”, può soddisfarlo quando ne incontra un’altra che ha bisogno di “ricevere”, e con questa entra in relazione.

In ogni persona sono presenti entrambi i bisogni, che sono vicendevolmente soddisfatti all’interno di ogni relazione di coppia, in una continua alternanza di ruoli e funzioni collegate al dare e al ricevere: quando l’uno ha bisogno di ricevere, trova nell’altro il bisogno di dare, in un continuo scambio in cui sia l’uno, sia l’altro, ora danno, ora ricevono.

Questo può avvenire grazie al fatto che ogni coppia è una struttura socio-relazionale, duale, in cui ciascuno dei due riconosce se stesso come “io” e l’altro come “tu”.

È questo un riconoscimento di “alterità” (dell’uno e dell’altro, da parte dell’uno e dell’altro) fondamentale per l’adeguato funzionamento di una coppia.

Altrettanto fondamentale, da parte di entrambi i componenti la coppia, é il riconoscimento di cosa specifica la loro unità e determina il loro essere un “noi”, con proprie particolarità riguardanti i rapporti interni alla coppia e quelli esterni, con un resto del mondo che riconosce tali particolarità.

La coppia è la prima e forse più importante esperienza esistenziale, per il cui tramite l’individuo fa esperienza di sé, come realtà individuale, e di sé come facente parte di una realtà che supera i confini della propria individualità.

Il valore di questa esperienza é di dare il senso, l’emozione e il sentimento, di far parte di qualcosa di più grande di noi, che ci difende dagli attacchi di solitudine e ci conforta dalla paura, che questi ci muovono; ci dà un senso di protezione e ci fa sentire importanti, ci dà confini ed orizzonti di movimento e ci rassicura sulle nostre possibilità di riuscire a farcela a portare avanti la nostra vita, con buone soddisfazioni e autorealizzazioni.

Avere un’identità sociale che si sostanzia nel far parte di qualcosa di più grande di noi, come singoli individui, soddisfa, evidentemente, un bisogno primordiale di appartenenza, che soddisfiamo nel corso della nostra intera esistenza riconoscendoci ora in una coppia, ora in una famiglia, ora in un gruppo sociale, ora in una comunità, in una nazione, in un popolo.

Il bisogno di appartenenza collega, in ciascuno di noi, il bisogno di esistere ed essere visti come singoli individui (cioè come un “io”) al bisogno di esistere ed essere visti come soggetto collettivo (cioè come un “noi”).

La relazione “io-tu” è la struttura sociale di base che presiede alla costruzione di ogni forma di soggetto collettivo riconosciuto e/o riconoscibile come un “noi”.

Non può esistere un “noi” che non sia strutturato su una o più forme di relazione “io-tu”, perché è su questa che si forma ogni tipo di coscienza di sé, sia come singolo soggetto, sia come soggetto collettivo.

Nell’appartenere a un soggetto collettivo, l’esperienza relazionale si allarga dalla dimensione “io-tu” a quella “io-noi”, riproponendone le dinamiche di base: anche per il “noi”, esiste un “altro”, che di volta in volta si qualifica come “voi”, “loro” e tutti gli altri singoli “Tu” che sono “altro” dal “noi”.

La forma più semplice che un “noi” può assumere è quella della coppia.

L’esistenza umana, però, ha esigenze e bisogni sociali per la cui soddisfazione la coppia, da sola, non basta.

Ad altre forme di “noi”, e quindi ad altre strutture sociali, più grandi e complesse, l’uomo si è dovuto/saputo appoggiare per vivere, e continua a farlo (vedremo le più importanti nei prossimi capitoli).

Torniamo allora all’oggetto della presente trattazione: la coppia.

Ripartiamo dall’affermazione che “la relazione io-tu è la struttura sociale di base che presiede alla costruzione di ogni forma di soggetto collettivo riconosciuto e/o riconoscibile come un noi”.

In atre parole, per fare un “noi”, di base ci vuole un “io” e un “tu”.

Un “io” diventa un’identità riconoscibile, da chi la incarna, quando lo stesso ne fa esperienza.

Il fare esperienza di sé, come individuo, è possibile unicamente nella relazione con un altro, diverso da sé eppure simile.

La relazione con l’altro è uno “specchio” che ci permette di fare esperienza dei nostri confini personali e di quelli altrui; ci consente di marcare la nostra particolare identità di esseri che sono sia uguali agli altri propri simili e sia diversi da loro, permettendoci quindi sia di identificarci con gli altri, sia di differenziarci da loro.

Non avere o perdere questo senso di “identità e di differenza” é la condizione di base di ogni relazione insana fra le persone, che porta loro a farsi del male, fino a uccidersi.

Sono quelle relazioni in cui il dare e il ricevere non si articola in dinamiche, armoniose e reciprocamente soddisfacenti, di scambio.

Il dare e ricevere, l’offrire ed il prendere, è la dinamica relazionale che più caratterizza ogni genere di relazione.

Una coppia in cui questo avviene armoniosamente e con la reciproca soddisfazione di chi la compone è una coppia che, debitamente, consideriamo positiva e di utile socialmente.

Possiamo allora aggiungere, all’incipit di questa trattazione sulla coppia (“la coppia é quella struttura sociale i cui componenti intrattengono una relazione per il cui tramite scambiano e/o condividono beni materiali e/o immateriali”), la chiosa che, così facendo, entrambi soddisfano fondamentali, vitali ed esistenziali, bisogni personali.

Abbiamo già visto che la coppia è una tipologia di struttura sociale che si articola in molteplici fattispecie, ciascuna delle quali può avere senz’altro caratteristiche proprie, differenti da tutte le altre.

Come funzionino tali relazioni, in qualunque tipo di coppia si configurino, a quali istanze emotive e culturali rispondano, quali bisogni soddisfino è ciò che, facendo counseling, counselor e clienti esplorano e analizzano, per sviluppare una conoscenza che li aiuti a meglio affrontare le difficoltà di coppia che stanno vivendo.

In questa sede, per affrontare tale lavoro di conoscenza prenderemo, a campione, un particolare tipo di coppia, in cui ogni dinamica relazionale di coppia, qualunque questa sia, potrebbe presentarsi.

La coppia su cui ci concentriamo è quella che si forma, prevalentemente, tra un uomo e una donna (ma varrebbero le stesse cose se parlassimo di una coppia di uomini o di donne), sulla base di attrazioni varie, in cui forte è la componente sentimentale/amorosa/erotica/sessuale, attrazioni che tendono a svilupparsi in una qualche forma di relazione fissa, intima e continuativa nel tempo, di mutuo soccorso, e che ha la più alta probabilità di trasformarsi in quella che sarà la prossima struttura sociale che qui analizzeremo: la famiglia.

Ci dedichiamo cioè alla coppia i cui membri stanno insieme per ragioni sentimentali, di reciproca attrazione e desiderio sessuale, e per ragioni che attengono al condiviso progetto di vita comune, “finché morte non li separi”.

Ci dedichiamo a questo tipo di coppia perché questa è la base della struttura sociale di più diretto sviluppo (la famiglia), che analizzeremo in seguito; ci dedichiamo a questo tipo di coppia, chiamandola “amorosa” (per facilitarne il riconoscimento e il richiamo); ci dedichiamo a questa coppia perché in essa è possibile riscontrare ogni forma e contenuto di dinamica relazionale possibile in ogni altro tipo di coppia possibile, per composizione di genere sessuale, sociale, d’età, per bisogni e/o interessi in ballo e per qualsiasi altro motivo.

Per dirla meglio, ci rivolgiamo a questo tipo di coppia perché in nessun altro tipo di coppia sono riscontrabili tutte le dinamiche relazionali potenzialmente presenti in essa, ma nella stessa possiamo ritrovare ogni tipo di dinamica relazionale riscontrabile in qualsiasi altro tipo di coppia.

Se, come già detto, una struttura sociale è un modo di organizzare i rapporti e le relazioni interpersonali, tra due o più individui, perdurante nel tempo, funzionale alla soddisfazione dei bisogni di chi vi partecipa, quali sono i bisogni che portano alla formazione di una coppia amorosa?

Ovviamente, innanzi tutto e come già visto, la coppia amorosa soddisfa il bisogno dell’“altro”, inteso come un altro essere umano, diverso da noi, che si unisca a noi.

Questo bisogno di unione, con un altro, rimanda a un senso d’incompletezza, che ci accompagna, come singoli individui, sin dalla nascita.

Insomma, da soli, ci manca qualcosa, che nel corso di tutta la nostra vita continuiamo a cercare fuori di noi.

La coppia è quella struttura sociale che prima di tutte, e forse più di tutte, la vita ci offre per soddisfare il nostro naturale bisogno di completezza.

Tale bisogno di completezza, prima di scaturire dall’impossibilità materiale di provvedere, da soli, alla soddisfazione di tutti i bisogni che abbiamo per vivere, sembra collegarsi a un bisogno primordiale di congiunzione, o forse di ri-congiunzione, di parti di noi, che possiamo trovare solo fuori di noi.

È questo uno stato delle cose che la cultura umana ha variamente, mitologicamente e/o religiosamente, rappresentato, vedi il racconto biblico della nascita di Eva, come costola distaccata dal corpo di Adamo, o tutte le leggende che parlano di mele spaccate e anime gemelle o quanto scrive Platone nel Simposio, dove riporta i dialoghi sull’amore, tra Socrate e un gruppo di suoi amici, in un loro banchettare in cui Aristofane racconta il mito dell’androgino:

Prima degli uomini c’erano i mostri androgini (due esseri umani attaccati tra loro), che potevano essere composti da due uomini, due donne oppure un uomo e una donna. Erano così veloci e potenti che vollero sfidare gli dei; Zeus li punì per questo, dividendoli in due (l’ombelico ne è la traccia) e li minacciò di dividerli ulteriormente, se ci avessero riprovato. Morale: l’amore, dalle cui mosse prende forma la coppia amorosa, è la ricerca dell’altra metà di se stessi, la nostalgia di un’unità perduta e il bisogno di riconquistarla.

Tralasciando ogni racconto mitologico o religioso, è evidente che noi umani possiamo, e magari vogliamo, in certe contingenze, stare e agire da soli; ma non in tutte!

Il nostro esistere ci propone situazioni e accadimenti che da soli non potremmo vivere; non farlo è sempre causa di grave sofferenza, quando non costituisce causa di morte.

In mille situazioni della nostra vita abbiamo bisogno dell’altro; ne abbiamo bisogno per ricevere un semplice, pratico, piccolo aiuto (esempio: trasportare un peso superiore alle nostre forze), per avere un figlio, per avere un contatto fisico, che soddisfi un bisogno di piacere dei sensi, di conforto, di rassicurazione, per avere qualcuno con cui confrontarsi e su cui contare (quando avere collaborazione è indispensabile per riuscire a fare ciò che vogliamo fare o ciò che abbiamo bisogno di fare), per avere qualcuno che ci protegga e aiuti in ogni situazione di bisogno (ad esempio, in caso di malattia o per affrontare le periodiche crisi dell’esistenza che attraversiamo), per avere qualcuno che ci sollevi dalla paura della solitudine, per avere qualcuno a cui dare/donare/offrire tutto ciò di cui noi stessi abbiamo bisogno.

Sì, perché il bisogno di avere/ricevere/prendere “tutto ciò di cui abbiamo bisogno” non potrebbe essere soddisfatto da alcuno, se tutti noi esseri umani non fossimo dotati del corrispondente bisogno di dare/donare/offrire “tutto ciò di cui gli altri hanno bisogno”, in modo che, in corrispondenza al nostro ritrovarci, alternativamente, nelle diverse funzioni del dare e del ricevere, tutti si possa soddisfare i propri bisogni.

Insomma, se gli “altri” sono tali per noi, ciascuno di noi lo è per loro.

Io faccio a, e per, l’altro ciò di cui l’altro ha bisogno e viceversa.

Se, da un punto di vista generale, una coppia, e il relativo rapporto tra chi la compone, si forma per rendere possibile la soddisfazione di uno o più particolari bisogni, la coppia amorosa aggiunge, in particolare, ai vari bisogni che ne promuovono la formazione, quello dell’amore, vale a dire, come già visto, di completezza, di congiungimento (o ri-congiungimento) con ciò che ci manca.

Questa funzione dell’amore, come istanza sentimentale che muove alla soddisfazione di un bisogno di (ri) congiungimento, la vedremo ampliarsi fino a diventare funzione di istanza sentimentale che muove verso la soddisfazione di un più articolato ventaglio di bisogni.

Ma, rimanendo, per ora, alla considerazione dell’amore come particolare sentimento/istanza che muove uno verso l’altro due individui, fino al loro diventare coppia, possiamo riconoscere, senz’altro, il valore dell’amore non solo come sentimento che muove alla soddisfazione di particolari bisogni, ma come bisogno esso stesso.

Insomma l’amore è sia un sentimento, sia un bisogno.

Se dell’amore, che porta due persone a formare una coppia, possiamo considerare il valore di bisogno, con tutta la sua fisiologia di sfarfallamenti di pancia, languori passionali, eccitamenti vari e comportamenti a questi correlati, ciò su cui dell’amore rivolgiamo ora l’attenzione sono le sue tre particolari funzioni di:

  1. Segnalarci il bisogno dell’altro,
  2. Spingerci al congiungimento con l’altro,
  3. Tenerci legati (ovvero insieme) all’altro.

Un altro con cui, stando in relazione, è possibile soddisfare un’importante gamma di bisogni personali e sociali.

Quando le tre funzioni qui sopra evidenziate dipendono da motivazioni diverse dall’amore, le dinamiche relazionali interne della coppia amorosa diventano più difficili, faticose e spesso fonte di crisi irrimediabili.

La coppia amorosa si forma quando entrambi i membri sentono il bisogno dell’altro, provano attrazione reciproca, sentono il bisogno di stare insieme.

Tutto questo “sentire” è una funzione che attiene alla biologia del corpo umano, con i suoi complessi apparati sensoriali, funzionali alle percezioni necessarie per vivere, ma, come già introdotto nella parte iniziale del presente capitolo: “Biologia, socialità, cultura sono tre dimensioni inestricabili della vita umana”.

Il nostro “sentire” è una funzione individuale che ci collega al mondo esterno, cui è collegato, al punto di non poter funzionare senza il contatto con lo stesso.

In altre parole, il nostro sentire è, anche, una funzione sociale; per ciò è, in buona parte, culturalmente determinato.

Per questo, prevalentemente, ci innamoriamo e formiamo coppie socialmente compatibili.

Certo si potrebbe facilmente obiettare che ci s’innamora delle persone con cui si entra in contatto e la stratificazione sociale ha sue declinazioni residenziali e relazionali che ci portano a frequentare soprattutto nostri pari sociali; ma, in una società sempre più “liquida” e trasversale come la nostra, le possibilità di entrare in contatto anche con individui appartenenti a “diversi” strati sociali è sempre più alta; ciò nonostante, le coppie amorose continuano ad avere una forte caratterizzazione di compatibilità sociale.

Evidentemente, rispettare norme e consuetudini sociali è anch’esso un bisogno compreso nel sentimento dell’amore!

Possiamo quindi riconoscere che l’amore sia un sentimento la cui fisiologia risponde tanto a esigenze biologiche (di contatto fisico, di nutrimento materiale e psicologico, di procreazione) quanto ad esigenze culturali (formare relazioni compatibili con, e funzionali a, l’organizzazione sociale esistente).

Insomma, l’amore è un sentimento che serve a noi come singoli individui e a noi come organizzazione sociale.

Per questo, quando un nostro sentimento non integra armoniosamente, sul piano individuale e sociale, la propria “utilità”, l’individuo entra in una qualche forma di crisi personale, che immancabilmente comprende il piano sociale, cioè coinvolge altre persone o, almeno, i rapporti con queste, in piccola o grande misura.

Quando facciamo counseling a una coppia, che sta vivendo una qualsiasi situazione di crisi, diventa perciò indispensabile considerare:

  • i vari vissuti emotivi e culturali individuali di ciascun componente, per arrivare ad individuare i bisogni personali a questi associati,
  • come tutto ciò (vissuti emotivi e culturali e bisogni personali) sia giocato nella relazione di coppia
  • come i componenti della stessa  si posizionano (ruoli e funzioni) nei propri habitat sociali
  • e si relazionano con chi condivide quegli stessi habitat.

Ricordandoci che la coppia sulla quale stiamo concentrando la nostra attenzione è quella amorosa (cioè quella che si forma quando entrambi i membri sentono il bisogno dell’altro, provano attrazione reciproca, sentono il bisogno di stare insieme), quando facciamo counseling a una coppia, è fondamentale lavorare sui sentimenti che provano l’uno per l’altro e sui bisogni che questi segnalano.

La messa a fuoco dei sentimenti provati per l’altro serve per aiutarci a comprendere i bisogni che li muovono; riconosciuto ciò, il nostro lavoro si orienta alla verifica di come, e se, nella relazione con l’altro possono essere soddisfatti.

Esempio: se lei dichiara d’essersi innamorata di lui perché con lui si sentiva al sicuro, dopo aver approfondito cosa questo voglia dire per lei, chiederle se questo sentimento/bisogno perdura è indispensabile, così come è fondamentale chiederle se, come e quanto, lei lo stia soddisfacendo con il suo lui.

I bisogni soddisfatti non motivano (Maslow docet!) più e, inoltre, cambiano, perché si evolvono e perché se ne affacciano di nuovi.

Ad esempio: la “lei” di qui sopra, nel tempo, potrebbe aver soddisfatto il proprio bisogno di sicurezza e/o non averlo più come motivazione per amare il, e stare con, il suo “lui”; magari è lei adesso che sente il bisogno di dare sicurezza e, inoltre, vorrebbe avere un figlio.

Un bisogno di dare sicurezza era proprio quello che lui soddisfaceva con lo stare con la sua lei: il darle sicurezza era e continua a essere la sua principale “ragione” d’amore e di avere figli a lui proprio non interessa, vuole la sua lei centrata su di sé, per quello che lui fa per lei, ecc. ecc.

Proviamo a pensare:

  1. lei non ha più bisogno che lui le dia sicurezza (magari perché ha sviluppato in proprio la capacità di darsela), così  il suo amore perde la leva più importante;
  2. lui continua ad aver bisogno di darle sicurezza;
  3. lei ha un bisogno di maternità;
  4. lui non vuole diventare padre, vuole la sua compagna tutta per sé;

Come possono continuare ad amarsi e a stare insieme?

  • Solo condividendo un processo di cambiamento, sostenuto da una valorizzazione di altri bisogni o di modi diversi di soddisfare uno stesso bisogno (ad esempio, lui potrebbe scoprire che fare un figlio con lei potrebbe essere un modo di darle un tipo di sicurezza che lei, in proprio, non può darsi e, per questa via, cambiare la sua ritrosia ad avere un figlio) collegati/collegabili ai loro sentimenti d’amore;
  • Solo se questi bisogni hanno la caratteristica di potersi incontrare e soddisfare reciprocamente;
  • Solo accettando la possibilità che non tutti i loro bisogni possano/debbano essere soddisfatti dalla e nella coppia; riconoscendo che ci siano altre possibilità sociali per farlo, riconosciute buone da entrambi e rispettate da entrambi;
  • Solo se entrambi riconoscono il valore dei cambiamenti avvenuti nella relazione e le possibilità di continuare a soddisfare, nella stessa, i propri bisogni.

Se questo non avviene, i due potranno continuare a stare insieme, condividendo un’esistenza di particolare malessere e sofferenza, oppure si lasceranno.

Ricevere un counseling di coppia li aiuterà a vivere un’esperienza di crescita personale capace di farli rincontrare oppure separare, in modo civile, reciprocamente rispettoso e (perché no?) amichevole.

Per aiutare i membri di una coppia a meglio affrontare le loro situazioni di crisi è molto importante avere buona conoscenza delle dinamiche emotive e culturali, e dei comportamenti a queste associate, che li hanno portati a mettersi insieme e a fare coppia; ben sapendo che ogni crisi del loro rapporto di coppia è determinata da cambiamenti, piccoli o grandi, di quelle dinamiche emotive, dei bisogni e dei comportamenti alle stesse associate!

Insomma, le istanze emotive, i bisogni e i comportamenti che spingono le persone a mettersi insieme, come coppia amorosa, sono variamente soggette al mutamento; se il loro cambiare, in ciascuno dei componenti la coppia, avviene con forme e contenuti compatibili alla, cioè in grado di integrarsi nella, relazione stessa di coppia, producendo soddisfazione in entrambi i partner, allora le forme dello stare e del fare coppia cambiano anch’esse, armonizzandosi al variare delle istanze emotive e comportamentali che l’ hanno formata, e tutto funziona!

In altre parole, se cambiano le istanze emotive, i bisogni e i modi personali (intenzioni, azioni e atteggiamenti comportamentali) di provvedervi, di uno o tutti e due i componente la coppia, le possibilità di continuare a stare, bene, in coppia, per entrambi, sono legate alla capacità degli stessi di armonizzare tali cambiamenti nelle forme che la relazione di coppia assume.

Esempio:

  1. Il bisogno che ha fatto incontrare i due partner è di sicurezza, lui di darla, lei di riceverla;
  2. Crescendo insieme, lei smette di avere bisogno di ricevere sicurezza, lui di darla;
  3. Lui apprezza il cambiamento, anche perché, nel tempo, s’è accorto di quanta energia spendeva nel rassicurare la sua compagna e di quanto ciò gli costasse, in opportunità sprecate di dedicarsi ad altri interessi;
  4. Entrambi sono orgogliosi del proprio cambiamento e grati, al proprio compagno, per il reciproco riconoscimento e l’aiuto ricevuto;
  5. Entrambi si ritrovano nella condivisione di un nuovo bisogno/piacere; ad esempio quello di far crescere la propria famiglia e di condividere la cura dei figli.

Quindi tutto va bene quando il naturale cambiamento di stati emotivi, atteggiamenti mentali e comportamentali dei singoli membri della coppia avviene in sintonia e, agli stessi, corrisponde un cambiamento compatibile e allineabile nelle dinamiche relazionali della coppia.

È questo il principale campo di lavoro del counseling per le coppie: le dinamiche relazionali della coppia, le loro forme e i loro contenuti.

Insomma, come ci ricordano magistralmente il buddismo, con la sua “legge” dell’impermanenza, ed Eraclito con il suo “panta rei”, tutto cambia!

Quindi anche nella coppia avvengono cambiamenti, che riguardano sia l’esistenza dei singoli membri, sia l’esistenza della coppia.

Se i cambiamenti dei tre soggetti in ballo (lei, lui, la coppia) procedono in sintonia, integrandosi in modo armonico, il benessere dei singoli e della coppia, come struttura sociale, è salvo e continua a essere promosso!

Abbiamo visto che un cambiamento importante riguarda i bisogni che i singoli mettono in gioco nelle loro relazioni di coppia.

Un altro ancora più importante incombe sulla sorte della coppia; ci riferiamo al cambiamento delle strutture comportamentali che utilizziamo, inconsapevolmente per vivere, siano queste:

  1. quelle strutture comportamentali che Bowly chiama Modelli Operativi Interni (vedi capitolo sull’infanzia);
  2. quelle strutture comportamentali che più semplicemente possiamo inquadrare come i nostri atteggiamenti comportamentali, più o meno nevrotici;
  3. quelle strutture comportamentali positivamente funzionali, che ci permettono di affrontare con facilità, e in grandi quantità, le più svariate e ricorrenti situazioni esistenziali, cui la vita ci sottopone.

Tutti noi sappiamo che è una prerogativa umana quella di puntualizzare atteggiamenti comportamentali fissi e ripetitivi, che in automatico sono agiti nelle varie circostanze relazionali che l’esistenza propone.

Tali atteggiamenti comportamentali fissi e ripetitivi, fatalmente, si incontrano, corrispondendosi positivamente, nel momento dell’incontro di coppia e nelle sue prime fasi di vita.

Esempio:

  1. lei ha come propria struttura comportamentale il prendere decisioni, comandare, controllare;
  2. lui ha come struttura comportamentale l’irrisolutezza, l’eseguire ordini, rifuggendo ogni responsabilità;
  3. questa è una coppia perfetta! (almeno da un punto di vista “funzionale”).

Le cose, nel tempo, possono cambiare, se uno o entrambi i membri della coppia cambia la struttura comportamentale che li ha fatti mettere insieme.

Poniamo il caso sia lei, che, crescendo, scopre la fatica di dover essere sempre lei a decidere, comandare, controllare, nelle vicende che riguardano la propria vita, quella di lui e quella di coppia; magari scopre il bisogno/piacere di condividere tale funzione con il proprio compagno.

Se al suo cambiamento ne corrisponde un altro, compatibile, nel proprio compagno, allora la coppia può continuare a funzionare e a produrre benessere per entrambi.

Stesso principio varrebbe se fosse lui a cambiare, scoprendo il valore, e il gusto personale, dell’essere lui, in prima persona, a prendere decisioni, comandare, controllare.

Se a tale cambiamento non ne corrispondesse uno compatibile in lei (magari perché lei non è disposta a mollare il proprio atteggiamento di comando e controllo unilaterale), la coppia facilmente scoppierebbe!

Se entrambi hanno questo tipo di struttura comportamentale, non possono stare insieme, se ciascuno ne pretende l’esclusiva.

Cosa diversa sarebbe se i due imparassero a collaborare sulla responsabilità di prendere decisioni, comandare e controllare.

Fare counseling a una simile coppia consisterebbe, principalmente, nell’agire affinché entrambi diventino consapevoli delle proprie strutture comportamentali, di come s’incontrano o si scontrano nella loro relazione di coppia, di come stanno cambiando, di come agire per rendere tale cambiamento funzionale al benessere di entrambi e al buon funzionamento della loro relazione.

La via, ancora una volta, è quella di partire da ciò che ciascun membro della coppia sente:

  1. Quali sono i suoi bisogni?
  2. Cosa e come sta facendo per soddisfarli?
  3. Quel “cosa” e quel “come” sta funzionando o sarebbe meglio cambiarlo?

In tale direzione, un percorso di counseling fatto in coppia sarebbe un’utile esperienza di apprendimento, per entrambi i membri.

Così come lo sarebbe, anche, un percorso di counseling individuale, per entrambi, o, almeno, per uno di loro; perché il cambiamento dell’uno sarebbe leva di quello dell’altro e, se così non fosse, comunque darebbe, a chi lo fa, forza e lucidità mentale per scegliere per se stesso un da farsi migliore.

In materia di funzioni e ruoli, variamente fissi, stereotipati, dinamici, dello stare in relazione (e più in generale dello stare al mondo) l’Analisi Transazionale, scuola psicoanalitica fondata da E. Berne, negli anni ’50 del secolo scorso, propone tre “stati dell’ Io”, come istanze preordinanti le transazioni avvenenti in una relazione di coppia:

  1. Genitore
  2. Adulto
  3. Bambino

Ciascuno stato corrisponde a un’idea delle funzioni comportamentali (di pensiero, sentimento ed azione) che ciascun individuo, nel ruolo corrispondente, dovrebbe svolgere nelle varie circostanze esistenziali in cui si ritrova, affinché chi le vive ne faccia la migliore esperienza possibile.

I problemi avvengono quando:

  1. l’individuo si trova ad agire funzioni di un ruolo che non è quello che gli spetta o non è quello congeniale alla circostanza;
  2. l’individuo si fissa in un atteggiamento corrispondente ad uno dei tre, mettendolo in atto quindi impropriamente, quando lo stesso non è funzionale.

Paradossalmente, però, in una coppia la relazione “funziona” (alias le coppie stanno insieme) anche quando i ruoli agiti dai suoi membri sono fissi, purché siano “compatibili” (ad esempio: genitore-figlio e adulto-adulto).

La coppia non funziona quando i ruoli fissi non sono compatibili (genitore-genitore e bambino-bambino).

Ovviamente, il funzionamento migliore deriva dal saper agire ruoli e funzioni in modo dinamico, alla bisogna!

Esempi:

  1. Due adulti che giocano possono entrambi entrare nello stato dell’io bambino ed agirne positivamente le funzioni (quello che non funziona è il rimanere fissi in quello stato);
  2. Genitore e figlio, in circostanze che lo richiedono, possono scambiarsi ruoli e funzioni.

Ciò che conta è averne coscienza, il saper stare in, e il saper agire, ora un ruolo ora un altro, secondo il bisogno in figura e in collegamento a competenze di quello stesso ruolo ben elaborate e riconosciute.

Ruoli e funzioni dei tre stati dell’Io, in questo manuale, soprattutto nella parte dedicata ai cicli di vita, sono ampiamente presentati ed analizzati.

Una buona conoscenza di tali ruoli e funzioni, insieme a buone capacità di osservazione e di analisi, è di grande aiuto a un counselor che lavora con una coppia; lo aiuta a riconoscere le dinamiche relazionali/transazionali all’interno della stessa; lo aiuta a individuare, insieme ai propri clienti, le possibili declinazioni disfunzionali in atto, cioè le loro dinamiche relazionali/ transazionali fisse e non più compatibili.

Specifico “non più compatibili” perché, evidentemente, in origine dovevano, in qualche modo, esserlo state.

Poter portare alla coscienza dei nostri clienti il loro mettere in atto tali dinamiche relazionali/transazionali, analizzandone funzionalità e disfunzionalità, nella loro specifica relazione, può essere di grande aiuto per attivare i cambiamenti di cui i nostri clienti hanno bisogno.

Sempre l’Analisi Transazionale ha evidenziato strutture relazionali, nevrotiche, ricorrenti nei rapporti di coppia, in particolare quella della relazione vittima-carnefice e del suo sviluppo nella triade carnefice/vittima/salvatore (spesso in atto in situazioni di gruppo, familiare o di altro tipo).

Di tali dinamiche relazionali, ciò che a noi interessa è riconoscerne l’esistenza, ben sapendo, che laddove questa è attiva, lo è grazie al fatto che ciascuno trae un proprio vantaggio, seppur nevrotico, dall’impersonificare il proprio ruolo.

La relazione di counseling rende possibile il riconoscimento di tali dinamiche relazionali, le relative impersonificazioni di ruolo i collegati giochi transazionali.

Grazie alle esperienze vissute nella stessa relazione di counseling, i clienti riusciranno a sperimentare, apprendendoli, nuovi e più funzionali modi di vivere le proprie relazioni interpersonali.

Chiudiamo questo primo capitolo sulla natura sociale dell’esistenza umana, dedicato alla coppia,  con un ultima riflessione, così articolata:

  • Se il sentimento che origina la formazione di una coppia amorosa è quello dell’innamoramento, e il sentimento che la tiene insieme è quello dell’amore, riconosciamo il fatto che:
  • nell’esperienza soggettiva dei singoli, l’innamoramento è un sentimento centrato su un unico, prioritario e prepotente bisogno, qualunque questo sia (a te che leggi il compito di riconoscere, ricordandolo, il tuo);
  • scegliamo quindi il nostro partner amoroso perché, nella nostra percezione, proprio lui soddisfa questo nostro prioritario e prepotente bisogno, che tutti gli altri bisogni della nostra vita oscura;
  • l’amore è un sentimento più generoso e più luminoso;
  • infatti si occupa dell’intera gamma, e la mette in luce, di bisogni che abbiamo per vivere, aiutandoci a soddisfarli, i nostri e quelli altrui.
  • Per questo, per mettersi insieme ci si innamora, per stare insieme ci si ama.

La trattazione di questa parte del manuale per la formazione in counseling, dedicata alla natura sociale dell’esistenza umana, prosegue nei prossimi capitoli su “la famiglia”, “Il gruppo, la comunità, la società liquida” e “la leadership”.

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